Il senato boccia la proposta di declinare le cariche al femminile
Il 27 luglio si è discusso in Senato di alcuni emendamenti al testo della Riforma del Regolamento del Senato a seguito della revisione costituzionale concernente la riduzione del numero deз parlamentari (Doc. II, n. 12), in particolare della proposta numero 5.0.200 [già 5.7 (testo 2)] della senatrice Maiorino di aggiungere come articolo 5 bis il seguente testo, con la rubrica Disposizioni per l’utilizzo di un linguaggio inclusivo. La proposta, votata a scrutinio segreto, ha ottenuto 152 voti favorevoli, 60 contrari e 16 astenuti, non sufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta necessaria per approvare l’emendamento. Quello che è accaduto in Senato è a dir poco scandaloso. Così la marcia dei diritti delle donne più che in avanti resta una marcia sul posto. Questo accade perchè si tratta del Parlamento: della Camera dei Deputati e del Senato, un organo di potere. Infatti, come abbiamo scritto un paio di anni fa su questi canali, «non abbiamo problemi a declinare al femminile parole come operaio, infermiere o cuoco. Nessun problema a parlare di maestra, commessa o segretaria. Questo perché le professioni citate sono lavori umili, subordinati e/o di cura. Se saliamo in alto nelle cariche, troviamo avvocato, ministro, giudice, magistrato e assessore ad esempio, il cui femminile sembra essere più ostico”. «Diamo spesso per scontato che il genere maschile sia neutro. Pensiamo che dire “tutti”, possa rappresentare anche chi non si identifica nel genere maschile, e che si possa dire “avvocato donna”, come se lз avvocatз fossero tutti uomini, e l’eccezione fosse da rimarcare, aggiungendo quel “donna” finale. La lingua italiana non è neutra. Il maschile predefinito porta con sé uno stereotipo di linguaggio che lo vede essere la norma. Il femminile è quindi qualcosa di altro, che si discosta dalla norma».