Molto spesso si è sentito parlare del tema del “Reddito universale di base”. La discussione ha riguardato lз economistз, lз politicз e lз semplici cittadinз. È un tema trasversale, che accomuna lз politici conservatorз e progressistз, imprenditorз visionarз e vittime della precarizzazione, economistз e filosofз.
A causa delle chiusure forzate dovute al COVID-19, la discussione ha ripreso vita. La pandemia ha fatto emergere la necessità di un ripensamento culturale delle nostre vite, non esclusivamente divorate dal lavoro. Nel periodo dal 25 settembre 2020 al 25 giugno 2022 tramite un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) è partita la raccolta firma per l’istituzione a livello europeo di un reddito minimo di base universale. La proposta, pur non avendo ottenuto il numero di firme necessarie per la sua discussione, ha raggiunto il Parlamento Europeo che ha votato la risoluzione del 15 marzo 2023 a suo favore, in linea con le idee fondanti dell’Unione Europea e delle democrazie del Vecchio Continente.
Ma in generale, che cos’è il “reddito universale di base”?
Come suggerisce la stessa espressione, è un sussidio erogato incondizionatamente a tutta la popolazione su base temporale regolare (es. mensile), a prescindere dalla situazione economica della persona.
Viene erogato su base individuale e non dipende dallo status occupazionale o familiare e la persona lo riceve in quanto viva.
Perciò si capisce la differenza con il welfare classico che attraverso criteri più stringenti, burocratici e iper-razionalizzati, si prefigge l’obiettivo di proteggere quella parte di popolazione maggiormente esposta alle oscillazioni dei cicli o shock economici. Questa misura è rivolta a tuttз.
Come concepire il reddito universale di base? Si tratterebbe di un nuovo diritto o di un privilegio che premia chi non offre alcun contributo alla società?
Da un punto di vista filosofico, la concezione di una policy così estesa non può esser vista in maniera diversa dall’acquisizione di un nuovo diritto naturale, un modo per dare a tuttз lз cittadinз di uno Stato una base di partenza dalla quale cominciare la propria vita, garantendo un livello minimo di sussistenza. Questo libera la persona dallo stato di necessità, a seconda della soglia che viene individuata da uno Stato.
Riflettendo meglio sulla questione del diritto naturale, lз cittadinз già ne possiedono uno: le condizioni economiche familiari, infatti, permettono una vita e opportunità differenti in base alla famiglia in cui si nasce, con patrimoni (e capitali sociali, per dirla à la Bourdieu) che passeranno di genitorз in figlз, parenti, nipotз ecc… Questa ricchezza viene ereditata senza alcun merito daз figlз, che non hanno lavorato o contribuito attivamente per produrla, ma che farà tutta la differenza del mondo in futuro.
Questo sta alla base delle disuguaglianze, ma siccome nessunə (giustamente) si sognerebbe mai di azzerare completamente il reddito naturale già presente (sarebbe ingiusto, ognuno è libero di usare il proprio denaro come meglio crede) perché non dare l’opportunità a tuttз di ricevere un reddito naturale garantito dallo Stato, a prescindere dalla propria condizione economica?
L’universalità servirebbe ad evitare un’inaccettabile discriminazione. Una determinata somma per una persona facoltosa potrebbe non fare la differenza, ma per altrз significherebbe avere una preoccupazione in meno (es. l’affitto) o mettere da parte dei risparmi. Inoltre, se la somma in questione non venisse usata, potrebbe essere riversata nuovamente nelle casse dello Stato (attraverso una tassazione più alta degli alti patrimoni improduttivi, e ciò diminuirebbe la probabile inflazione, poiché non vi sarebbe immissione di nuova moneta in circolazione).
Ma se tuttз prendessero una somma di denaro garantita a priori, non premieremmo anche chi non offre alcun contributo alla società, scoraggiandolo a lavorare? In realtà no.
L’idea principale su cui la maggior parte degli esperimenti si sono basati (es. Finlandia, Catalogna e Corea del Sud) e su cui lз espertз hanno lavorato negli ultimi anni, è cercare di trovare una cifra che possa garantire un livello minimo di sussistenza alle persone. Quindi, non deve fare concorrenza ad un salario, ma deve assicurare a tuttз una soglia minima per una vita dignitosa. Sarebbe il coronamento della maggior parte dei dettati costituzionali, per una piena attuazione dei propri diritti e delle proprie libertà per tuttз.
Ma perché servirebbe un reddito universale? E perché proprio ora?
Ammettendo che si possa culturalmente concepire questa misura come un nuovo diritto naturale (e non è facile), perché mai dovrebbe servire una policy del genere?
I motivi sono diversi:
1. Innanzitutto, c’è il problema della disuguaglianza economica crescente. In tutto il globo aumentano le disuguaglianze economiche interne agli stati e ciò incide anche sul potere politico, che sempre più va “a braccetto” con la ricchezza. Le grandi imprese, le multinazionali arrivano ad essere tanto potenti quanto gli stessi stati nazionali, che perdono importanza; conseguentemente lз cittadinз credono che il loro voto non conti più, distanziandosi dalla politica. Un reddito universale permetterebbe di includere quello strato di popolazione lontano dalla politica, come lз esclusз o lз emarginatз. Attraverso lo Stato si cercherebbe di ridurre questa disuguaglianza di potere, anche in modo simbolico. Tutto questo avrebbe un effetto benefico per la democrazia (come dimostrato dall’esperimento finlandese).
2. Digitalizzazione e nuova disoccupazione dovuta a robotizzazione e intelligenza artificiale. Sebbene la preoccupazione che “le macchine sostituiranno l’uomo” è andata di pari passo con la rivoluzione industriale, il reddito universale potrebbe essere una soluzione per lз nuovз “disoccupatз tecnologicз”. Se le persone possono perdere il loro lavoro per colpa dell’automazione della produzione (che diminuisce il numero di lavoratori necessari) e l’intelligenza artificiale è “partita all’assalto” dei lavori intellettuali, non sarebbe auspicabile un reddito incondizionato che possa permettere alla persona di riorganizzarsi e riprendere in mano la propria vita? Sicuramente potrebbe essere un modo per permettere alla persona di aggiornarsi, ed è la soluzione proposta più volte dallo stesso Elon Musk.
3. Permetterebbe aз lavoratorз una più ampia possibilità di scelta, perché sceglierebbero con più cura le offerte lavorative. Il precariato (altro problema ineluttabile degli ultimi decenni) continuerebbe ad esistere, ma sarebbe psicologicamente più sopportabile come dimostrato dall’esperimento finlandese del 2018 (clicca qui se vuoi informazioni “https://www.mckinsey.com/industries/social-sector/our-insights/an-experiment-to-inform-universal-basic-income). Anche le donne, spesso penalizzate nel mondo del lavoro potrebbero beneficiarne. Essendo più esposte al problema del precariato rispetto agli uomini ed essendo penalizzate quando scelgono di avere una famiglia, con un reddito minimo universale potrebbero avere uno strumento di liberazione in più. Senza contare l’importanza che potrebbe avere per le donne vittime di violenze domestiche che però non possono allontanarsi dal loro carnefice per motivazioni economiche. In Italia l’introduzione del “Reddito di libertà” è sicuramente un notevole passo in avanti per la liberazione in situazioni di violenza.
Però perché ora? Perché mai come ora il mondo va verso una direzione a noi ignota.
In una prospettiva futura in cui le future crisi verranno pagate continuamente da noi (il 99% del mondo, per riprendere uno slogan in voga nel 2011), in cui la maggior parte delle persone non parteciperanno e non beneficeranno di aumenti della produttività e dei profitti, avrebbe senso una manovra redistributiva universale, per evitare la jobless growth.
Tutto molto bello, ma è fattibile? Gli ostacoli sono molti
Una misura così estesa e trasversale vedrebbe uno sforzo economico da parte delle casse dello Stato senza pari; molto spesso, infatti, si è discusso della fattibilità della misura, scoraggiata anche dal problema di una nuova potenziale tassazione. Fra esperimenti falliti (o riusciti a metà) e discettazioni filosofiche, esiste un futuro in cui possa essere possibile una misura così rivoluzionaria che liberi dalla necessità e ponga tutte le persone nelle medesime condizioni?
Innanzitutto, bisogna specificare che questa misura difficilmente si andrebbe ad aggiungere al welfare odierno. La spesa pubblica per lo stato sociale nei paesi occidentali è elevatissima e rappresenta una gigantesca spada di Damocle per i margini di manovra di una policy tanto rivoluzionaria quanto costosa ed utopica.
Inoltre, il problema dell’inflazione rimarrebbe sempre dietro l’angolo annullando qualsiasi beneficio. Potrebbe risultare più fattibile se si considerasse di modificare parzialmente il welfare state attuale, ma bisognerebbe decidere quali risorse diminuire, scontentando interi settori della popolazione. La politica non potrebbe permettere questo.
L’aumento della tassazione sui redditi più alti potrebbe essere una soluzione, lз stessз miliardarз hanno chiesto agli stati di tassarlз maggiormente (es. le richieste di Bill Gates e Warren Buffet). Una migliore lotta all’evasione e all’elusione fiscale potrebbe riuscire a far reperire risorse allo stato utili per un progetto così mastodontico.
Ciò che manca è la volontà politica degli stati più avanzati, ma sarebbe difficile anche convincere le nazioni “paradisiache” che non hanno alcuna intenzione di veder fuggire i grandi capitali dai loro confini.
Inoltre, al momento, nessuno stato al mondo ha provato ad ampliare la policy a livello nazionale, rimanendo solo in una dimensione locale, proprio per le difficoltà di implementazione e la mancanza di risorse economiche.
Sebbene i risultati da un punto di vista del benessere psicologico dei “trattati” dalla misura fossero positivi, difficilmente gli esperimenti avranno seguito.
Un esempio è quello della virtuosa Finlandia, caso emblematico di una politica riuscita che ha migliorato da un punto di vista psicologico la vita deз disoccupatз “trattatз”, ed ha aumentato l’interesse verso la politica delle persone che hanno preso parte all’esperimento. Per avere più informazioni sull’esperimento consiglio di leggere l’articolo intitolato “An experiment to informe universal basic income” uscito su www.mckinsey.com.
Tuttavia, la Finlandia ha deciso di non rifinanziare il progetto per motivazioni di budget. La spesa è stata molto alta, nonostante lз coinvoltз nell’esperimento fossero solo 2000 disoccupatз scelti a caso. L’ipotesi statale diventa quindi utopistica.
E se lo Stato non fosse in grado di sobbarcarsi una misura del genere? Una soluzione potrebbe arrivare dal digitale (ma con qualche rischio)
Una soluzione potrebbe arrivare dal web. La data-economy potrebbe non essere un enorme vantaggio solo per i giganti della Silicon Valley. Le Big Tech negli ultimi anni hanno abbondantemente beneficiato del “petrolio del terzo millennio”, i nostri dati, le molliche di Pollicino che lasciamo continuamente durante la nostra attività online. Questi dati rappresentano un valore per molte multinazionali che li raccolgono e li archiviano in enormi database, imparando a conoscere le nostre preferenze in termini di prodotti, per offrirci un’esperienza sul web più personalizzata e spingerci all’acquisto di un qualcosa che possa interessarci. Noi, pur producendo valore per queste imprese, non partecipiamo ai profitti, siamo solo dati da sfruttare economicamente (seppur con il nostro consenso, attraverso l’accettazione dei cookies).
È per questo motivo che, come fatto notare da un articolo di “Forbes USA”, lз cittadinз creano valore per delle aziende che non riconoscono loro la giusta importanza e un ritorno economico. Come fatto notare nell’articolo, si potrebbe ribaltare la situazione. Stanno nascendo nuove startup che pagano per avere i dati deз cittadinз e per usarli a fini statistici. Si riconosce quindi aə cittadinə online l’importanza del suo lavoro nel valore creato per l’azienda.
Questo sarebbe possibile grazie alle tecnologie Blockchain del Web che permettono di avere alle persone un’entrata passiva e stabile, come un reddito universale di base.
Tuttavia, rimangono delle perplessità:
1. Sarebbe veramente universale? No, perché persiste il digital divide, verrebbero tagliati fuori lз anzianз che hanno meno dimestichezza con le nuove tecnologie e molte altre persone che per altri motivi non potrebbero avervi accesso (es. perché non possono permettersi uno smartphone).
2. Problema della privacy: è uno dei problemi principali del Terzo millennio, che vede nella capitalizzazione dei dati una nuova risorsa economica da sfruttare. Un aumento del valore economico di questi dati potrebbe portare a maggiori intrusioni, fughe di dati e violazioni informatiche nei confronti dei database.
3. Scegliere quali dati possono creare valore per l’azienda (e quantificarlo precisamente): le aziende potrebbero pagare troppo poco se il mercato dovesse saturarsi, annullando completamente il valore economico dei nostri dati e conseguentemente facendo venire meno lo stesso reddito universale derivante dai dati.
È chiaro anche questa soluzione abbia delle criticità che vanno risolte, oltre anche all’atto di fiducia che le persone fanno nei confronti delle aziende private, che potrebbero aprire la strada ad una nuova forma di mercificazione delle nostre vite. Anche la via privata è scoscesa e piena di problematiche diverse rispetto alla soluzione pubblica, ma che ne minano la fattibilità.
Che sia per via privata o per via pubblica, il reddito universale al momento rimane meramente utopico, con moltissime difficoltà economiche, politiche, di implementazione e a livello di privacy. Il dibattito cresce sempre più e, per quanto si possa essere a favore o contro, è innegabile che ridisegnare uno stato (o perché no, un mondo) secondo logiche diverse da quelle odierne risulta sempre più difficile.
Il reddito avrebbe l’arduo compito di ampliare le libertà democratiche, concentrandosi sull’effettiva attuazione di tutte quelle idee che sono state alla base delle nostre costituzioni. Riuscire a godere a pieno delle proprie libertà economiche, politiche e sociali può risultare possibile attraverso questa rivoluzionaria misura. La sua fattibilità però frena gli entusiasmi.
Sarà possibile un giorno utilizzare questa policy per garantire un maggior grado di libertà? Liberare dal bisogno tutte le persone per far sì che possano concentrarsi sulla cura dei propri affetti, sulla loro partecipazione politica, culturale alla società può diventare realtà o è solo utopia? Il reddito universale di base, al momento, potrebbe non essere la risposta. Se evitare l’esclusione sociale attraverso misure inclusive e universali potrà far risollevare le sorti delle nostre democrazie e rendere la società un po’ più giusta, lo scopriremo solo in futuro. Fino ad allora non resta che far sì che questi problemi vengano alleviati con le misure ad oggi presenti. Nel frattempo, si aspettano misure più rivoluzionarie. Forse siamo più vicini di quanto pensiamo.
Articolo di: Gaetano Lo Cascio
Revisione: Marta Finazzi
Grafiche: Federica Marino
FONTI:
· https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2022/02/25/reddito-minimo-universale/.
· “Critica del liberismo italiano” L. Michelini, 2020.
· https://www.treccani.it/enciclopedia/una-crescita-senza-lavoro_%28Il-Libro-dell%27Anno%29/.
· https://ilmanifesto.it/il-paradosso-democratico-di-colin-crouch.