Il 27 luglio si è discusso in Senato di alcuni emendamenti al testo della Riforma del Regolamento del Senato a seguito della revisione costituzionale concernente la riduzione del numero deз parlamentari (Doc. II, n. 12), in particolare della proposta numero 5.0.200 [già 5.7 (testo 2)] della senatrice Maiorino di aggiungere come articolo 5 bis il seguente testo, con la rubrica Disposizioni per l’utilizzo di un linguaggio inclusivo.
«1. Il Consiglio di Presidenza stabilisce i criteri generali affinché nella comunicazione istituzionale e nell’attività dell’Amministrazione sia assicurato il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio attraverso l’adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne. […]».
La proposta, votata a scrutinio segreto, ha ottenuto 152 voti favorevoli, 60 contrari e 16 astenuti, non sufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta necessaria per approvare l’emendamento. Molte le contestazioni procedurali in Aula, soprattutto da parte del M5S, ma la presidente Casellati taglia corto e le definisce proteste «pretestuose e inaccettabili». I senatori, precisa «dovrebbero conoscere le regole».
Immediate le reazioni alla bocciatura. Quello che è accaduto in Senato è a dir poco scandaloso. Così la marcia dei diritti delle donne più che in avanti resta una marcia sul posto. «Il no all’emendamento Maiorino non è solo una questione linguistica, ma equivale alla sostanziale rimozione del ruolo della donna nelle Istituzioni. E questo è doppiamente grave se pensiamo all’esempio che stiamo dando alle bambine di oggi, le donne del futuro». La lingua, riferisce Michela de Biase, intervistata dal Corriere della Sera, «si evolve con i tempi e volersi ostinare a declinare tutto al maschile è un passo indietro».
I commenti su Facebook all’intervista sopra citata sono anch’essi scandalosi:
- Ci mancava la Presidenta del Senato
- …oggi ho l’appuntamento dal dentisto!!! Che orrore però se dobbiamo cambiare, cambiamo tutto!
- Ma perché dire “Senatora” sarebbe parità di genere?
- Chi fa queste proposte, pensando che così si favoriscono i diritti delle donne, è da sottoporre a TSO
- Penso che ci siano questioni più urgenti e soprattutto importanti, che mettere una A o una O alla fine delle parole… Dai su, ragazzi, ma veramente siamo fermi a questo punto in Italia? L’inglese (una su tutte) non ha il femminile/maschile delle parole…
- Ma chi se ne frega, SOPRATTUTTO LE DONNE se ne strabattono , sono troppo intelligenti per farsi attrarre da certe idiozie .
- Ci sono problemi più importanti
Dopodiché, si continua a cavalcare un’inutile e inesistente contrapposizione tra fatti e parole: non è che occuparsi delle parole voglia dire ignorare i problemi pratici; più semplicemente, le istanze possono andare a braccetto, darsi man forte a vicenda, oppure ostacolarsi altrettanto vicendevolmente.
Il cervello pensa al maschile?
Come ha scritto Vera Gheno, «Lo studioso Pascal Gygax, assieme al suo gruppo di lavoro, ha scritto nel 2021 un bel libro, dal titolo molto esplicito: Le cerveau pense-t-il au masculin? – Cerveau, langage et représentations sexistes (https://livre.fnac.com/a15701417/Pascal-Gygax-Le-cerveau-pense-t-il-au-masculin-Cerveau-langage-et-representations-sexistes). Il testo si inserisce in un filone di studi più ampio che, nell’ambito della linguistica, della psicologia, della psicolinguistica e della sociolinguistica, raccoglie dati empirici sulle conseguenze d’uso del maschile sovraesteso – nelle lingue con genere grammaticale, come quelle romanze – sul pensiero. Checché ne dicano alcuni studiosi nostrani (cfr. ad es. https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/un-asterisco-sul-genere/4018), il maschile sovraesteso non viene decodificato dal nostro cervello come neutro, ma finisce per creare dei bias, delle inclinazioni, inconsapevoli, che manipolano la nostra visione del mondo».
Questo accade perchè si tratta del Parlamento: della Camera dei Deputati e del Senato, un organo di potere. Infatti, come una nostra volontaria ha scritto un paio di anni fa su questi canali (cfr. fonti) «non abbiamo problemi a declinare al femminile parole come operaio, infermiere o cuoco. Nessun problema a parlare di maestra, commessa o segretaria. Questo perché le professioni citate sono lavori umili, subordinati e/o di cura. Se saliamo in alto nelle cariche, troviamo avvocato, ministro, giudice, magistrato e assessore ad esempio, il cui femminile sembra essere più ostico». «Diamo spesso per scontato che il genere maschile sia neutro. Pensiamo che dire “tutti”, possa rappresentare anche chi non si identifica nel genere maschile, e che si possa dire “avvocato donna”, come se gli avvocati fossero tutti uomini, e l’eccezione fosse da rimarcare, aggiungendo quel “donna” finale. La lingua italiana non è neutra. Il maschile predefinito porta con sé uno stereotipo di linguaggio che lo vede essere la norma. Il femminile è quindi qualcosa di altro, che si discosta dalla norma».
Sempre Vera Gheno, a tal proposito, consiglia il TED della psicologa americana di origine bielorussa Lera Boroditsky, How language shapes the way we think (https://www.ted.com/talks/lera_boroditsky_how_language_shapes_the_way_we_think?language=it), che bene spiega quanto il nostro cervello “pensi linguisticamente”, e di conseguenza quanto l’uso di questa o quella parola possa cambiare letteralmente forma al nostro pensiero.
Il voto avvenuto in Senato è l’applicazione pratica della nostra analisi e del maschile sovraesteso che non viene codificato dal nostro cervello e che crea bias, inclinazioni inconsapevoli che manipolano la nostra visione del mondo.
Revisione: Manuela Rivieccio
Fonti:
https://www.eduxo.it/2020/08/23/le-professioni-al-femminile/
https://www.facebook.com/corrieredellasera/photos/a.284654007529/10160205813272530
https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/un-asterisco-sul-genere/4018