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Per una Cultura dello Spazio

“Vedo la Terra circondata da foschia. Mi sento bene. Com’è bello”, le prime parole di Yuri Gagarin dallo spazio. 

Nella loro semplicità, queste parole riescono ad evocare perfettamente lo stupore e la meraviglia che pervadevano l’astronauta mentre, per la prima volta nella storia dell’umanità, compiva un viaggio spaziale e osservava dall’alto il pianeta Terra.

Siamo abituatɜ a considerare lo spazio come qualcosa di distante, di cui quasi non percepiamo l’esistenza. 

Sebbene conscɜ del fatto che scienziatɜ e astronautɜ siano testimonɜ di viaggi e conoscenze straordinarie, in continuo rinnovamento, la portata dei loro successi non raggiunge l’eco che invece raggiungono altri temi sociali, i quali godono di un impatto più evidente sulla nostra quotidianità. Questa è la conseguenza del tutto naturale del vivere in una società come la nostra, dove si cerca a fatica di trovare e conservare il “posto giusto” a cui appartenere e in cui non a tuttɜ sono disponibili gli strumenti per interessarsi a temi scientifici. 

Apparteniamo allo spazio tanto quanto apparteniamo alla Terra. Tutto ciò che accade lassù produce effetti quaggiù. Di certo non si tratta di eventi sempre evidenti, a meno che non ci si aspetti il passaggio di una cometa, di un asteroide o il verificarsi di un’eclissi. Ci sono però effetti, progetti, accadimenti e scoperte che influenzano il futuro del pianeta e dell’Uomo più di quanto si possa immaginare, anche dal punto di vista socioeconomico e culturale. 

Sollecitare l’interesse della comunità internazionale sui temi legati allo studio dell’universo porterebbe a una maggior consapevolezza in merito al futuro della Terra e delle prossime generazioni. Sollecitare la diffusione di una “cultura dello spazio”, far sì che gli studi scientifici sull’universo siano il retaggio di una sempre più vasta fetta di umanità, ci consentirebbe forse una gestione più cosciente del pianeta e del tempo.

Dal 2011, ogni anno festeggiamo il primo viaggio spaziale nella giornata del 12 aprile, ricordando la missione che l’astronauta sovietico ventisettenne Yuri Gagarin intraprese in quello stesso giorno del 1961. 

Un’ora e quarantotto minuti trascorsi a bordo di una capsula Vostok 1 partita da Bajkonur, in Kazakistan, a 320 km dalla superficie terrestre. La capsula compì un’orbita completa intorno alla Terra, viaggiando a una velocità di 27.400 km/h.

Oltrepassare i confini della condizione terrena e imparare ad essere umani diversi è lo sforzo principale che deve affrontare chi desidera coronare il sogno dello spazio; è un sogno raggiungibile solo a costo di impegno e coraggio. 

La nostra vita è scandita dai ritmi del sole e della società nella quale siamo immersi, non è semplice immaginare come possa essere vivere al di fuori di questo nostro contesto. 

Nel suo intervento del 18 febbraio 2020 presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti ha raccontato cosa significa rinunciare al ciclo giorno-notte, percepire il tempo guardando la Terra e non il cielo, osservare il cambiamento del clima senza subirne gli effetti diretti. 

Occorre un grosso sforzo di immaginazione per figurarsi in una simile condizione. Affrontarla per davvero richiede un duro e perenne addestramento fatto di studi teorici e simulazioni pratiche. Occorre godere di ottima salute, sia dal punto di vista fisico che psicologico, e sottoporsi ad un rigoroso addestramento per affrontare fasi critiche come il decollo, l’atterraggio e l’assenza di peso. 

Uno degli aspetti più cruciali è il fatto di abituarsi alla microgravità e, per farlo, lɜ astronautɜ svolgono voli parabolici all’interno di quelle che in gergo vengono definite “Vomit Comet”. Tale termine dal sapore umoristico descrive la sensazione che si prova fluttuando all’interno della cabina di questo aeroplano, che effettua una sequenza di traiettorie approssimativamente paraboliche, producendo così all’interno una condizione temporanea di assenza di peso. 

La meta principale deɜ viaggiatorɜ dello spazio è ad oggi la Stazione spaziale internazionale, una piattaforma orbitante nata dalla cooperazione di diversi paesi e gestita come progetto congiunto da cinque diverse agenzie spaziali.  

Vi lasciamo con le eloquenti parole che la stessa Samantha riporta nel suo libro “Diario di un’apprendista astronauta”, in particolare quelle che ci descrivono la sua reazione quando ha visto per la prima volta con i suoi occhi la Stazione spaziale internazionale:

“La Stazione spaziale è là fuori, imponente e splendente, arsa da una luce arancione calda e viva, in cui grandi pannelli solari sembrano bruciare, incandescenti. […] Mi rendo conto di aver colto la prima immagine della mia nuova casa proprio nei pochi secondi in cui essa arde di arancio, alla transizione tra il giorno e la notte. E ho l’assurda percezione che l’universo, quell’universo indifferente alle vicende di tutta l’umanità, figuriamoci di una singola persona, questa notte mi abbia voluto fare un regalo.” (Cristoforetti, 2018)

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