Quando studiavo chimica, un anziano professore era solito dispensare consigli e osservazioni non richieste sul mondo del lavoro tra una lezione e l’altra. Noi studentз non gli prestavamo sempre molta attenzione ma un giorno pose una domanda che continuò a risuonarmi in testa per tanto tempo. Il ragionamento del mio professore, un chimico sperimentale abituato ad osservare, era il seguente. Nella facoltà di chimica, storicamente, lз studentз sono circa metà maschi e metà femmine. Le ragazze studiano di più, si laureano con voti migliori, ottengono più borse di dottorato. Eppure, lз professorз sono quasi tutti uomini.
Anche nelle aziende le cose non cambiano: le posizioni più alte sono occupate da uomini. A quel punto guardava le ragazze e con grande sincerità e ammetteva di non riuscire a spiegarsi il perché. “Perché non arrivate fino in fondo, ragazze? Avete tutto: siete intelligenti, siete competenti. Perché vi fermate? È l’ambizione che vi manca?”
La psichiatra Anna Fels pubblicò un articolo nel 2004 sulla Harvard Business Review (1) riguardo una sua ricerca in cui affrontava proprio questa domanda. L’autrice riporta che durante le interviste che condusse per capire il rapporto che le donne hanno con l’ambizione, queste mostravano addirittura di odiare la parola stessa. Vi associavano infatti tratti considerati comunemente come negativi quali “egoismo, auto-esaltazione e uso manipolatorio degli altri per i propri fini”. Per questo motivo, nessuna di loro voleva ammettere di essere ambiziosa, al contrario degli uomini che invece lo ritenevano un tratto fondamentale del loro carattere.
Questo è uno dei due principali problemi che Anne Fels identifica: l’ambizione non si concilia bene con la femminilità per come viene normalmente concepita e insegnata. Nei suoi studi riscontra che moltissime donne della classe media americana crescono con questo regola non detta secondo cui è giusto non attirare l’attenzione su di sé e soprattutto di subordinare le proprie necessità di riconoscimento a quelle deз altrз, specialmente degli uomini. Secondo Fels, questa aspettativa è “talmente tanto radicata nell’ideale culturale di femminilità che è largamente inconscio”. Forse lз più giovani potranno riconoscere questi comportamenti non tanto su di sé ma sulle proprie madri.
Il problema di trasgredire l’ideale di femminilità non è tanto il fatto in sé, quanto le conseguenze che si rischia di vivere e subire a livello sociale. Quando una donna si mostra decisa delle proprie idee con atteggiamento assertivo e non remissivo, oppure mettendosi in competizione per una posizione ad alta visibilità, si trova spesso ad affrontare pesanti critiche sulla propria sessualità. Conosciamo bene questo tipo di insulti, che passano dall’insinuare l’asessualità e la indesiderabilità della persona in questione fino alla parte opposta dello spettro, cioè la promiscuità e l’essere eccessivamente seducente.
L’ambizione, come la motivazione a perseguire l’apprendimento di una abilità in particolare o ad applicarsi per raggiungere un qualsiasi obiettivo, si basa su due fattori: quanto è alta la probabilità di raggiungere la meta ed il valore che si attribuisce alla ricompensa attesa.
Ad oggi, le ragazze non hanno più problemi di accesso all’istruzione per cui dal punto di vista delle competenze necessarie per un determinato lavoro non sussistono più le barriere che erano presenti fino al secolo scorso. È la ricompensa a costituire ancora un problema: Anne Fels sostiene che “il riconoscimento sociale e personale che le donne ricevono per i loro successi è quantitativamente inferiore, qualitativamente più ambivalente e, forse in modo più scoraggiante, meno prevedibile rispetto alle loro controparti maschili”.
Una mancanza di affermazione dei propri successi unita alla minaccia alla propria identità sessuale portano spesso allo scoraggiamento le giovani adulte che vorrebbero perseguire le proprie aspirazioni, che quindi non riescono a trovare un compimento nella loro carriera. Tuttavia gli ostacoli più grossi si presentano quando queste hanno il desiderio di sposarsi e costruire una famiglia.
Persino Sheryl Sandberg, COO di Facebook dal 2007, riconosce che la maternità rappresenta uno spartiacque nella vita di molte donne, che a causa dell’eccessivo carico domestico che ne consegue si trovano costrette a rinunciare a realizzare le loro ambizioni lavorative. Il suggerimento che viene dato nel corso del suo TED talk “Why we have too few women leaders” del 2010 (2) è quello di coinvolgere lə propriə partner di vita in modo da dividersi le incombenze. Ma anche così le difficoltà sono lontane dall’essere risolte.
La maggior parte dei posti di lavoro aziendali sono configurati secondo il modello tradizionale di famiglia, in cui l’uomo porta lo stipendio a casa e la donna assume i ruoli di cura che consentono alla società di andare avanti: la casa, lз figlз e lз anzianз.
La possibilità che le donne appartenenti al ceto medio hanno avuto di entrare nella forza lavoro riflette anche una necessità, cioè che uno stipendio solo non è più sufficiente a mantenere un nucleo familiare. Tuttavia a livello di società manca un tassello: la cura deз bambinз viene ancora oggi relegata primariamente alla donna. La quale potrebbe trovarsi a dover ridimensionare i propri obiettivi lavorativi, se non proprio ad abbandonarli del tutto.
Per rispondere alle domande di quell’anziano professore, ormai in pensione, si potrebbe dire con sicurezza che non è certo l’ambizione a mancare alle donne. E nemmeno la volontà di farlo: sul mercato vi sono innumerevoli articoli e libri di “self-help” in cui si possono trovare consigli per coloro che vogliono emergere nel mondo del lavoro. Ma, oltre a far sembrare che sia colpa della singola persona se non riesce ad emergere, questo ci svia dal vedere che il problema riguarda una dimensione molto più strutturale della società.
Per raggiungere una vera parità di genere nel mondo del lavoro serve concentrarsi ora più che mai su tutto ciò che concerne i servizi per l’infanzia in modo da agevolare le madri che vogliono o hanno bisogno di concentrarsi sul lavoro. Linda Laura Sabbadini, affermata statistica e direttrice centrale dell’Istat, in una intervista del 2021 (3) conferma: “È indubbio che in Italia ci sia uno squilibrio nel lavoro di cura, siamo il Paese europeo che si trova nella situazione più critica e non andiamo avanti se non si mette mano a tutte le sovrastrutture sociali: che siano gli asili nido, i servizi per le persone non autosufficienti, per gli anziani o i disabili. Solo così si alleggerirebbe il carico sulle spalle delle donne”.
Lo sguardo delle generazioni più giovani è sempre più allenato ad andare oltre le differenze di genere, permettendo ad ognunə di sognare di realizzarsi come più desidera. Più impariamo a celebrare i successi di tuttз, più persone – e non solo uomini – potranno raggiungere i propri obiettivi. Continuiamo a lottare affinché questa visione si traduca in cambiamenti concreti nel mondo del lavoro per consentire a ciascunз di far avverare le proprie ambizioni, qualsiasi esse siano.
Fonti:
https://hbr.org/2004/04/do-women-lack-ambition