Al prof. Stefano Ferrari
recentemente scomparso.
Professore Alma Mater,
insegnante e studioso
di Psicologia dell’arte,
esempio di vita e di saggezza infinita,
Grazie.
(Questo articolo vuole essere d’introduzione al mondo delle arti terapie. Ci sarà modo di approfondire la questione in ogni suo aspetto.)
Il più delle volte è difficile interrogarsi sul proprio stato d’animo, non per mancanza di voglia o di tempo, ma per mancanza di coraggio. L’etimologia della parola deriva dal latino cor habeo = avere cuore. Avere cuore porta ad interrogarsi, mettersi in discussione, permettersi di sentire quello che c’è, nel “qui ed ora”. Non è di certo una pratica facile restare con le emozioni, soprattutto quando si tratta di emozioni che si è abituatɜ a definire “negative”. La parola emozione deriva dal francese émouvoir “mettere in movimento”. Il cuore e la mente, come una macchina da combattimento, si fondono insieme per dare vita ad un momento senza tempo e spazio in cui muscoli e cervello sono strettamente connessi tra loro. Il più delle volte si azionano meccanismi di difesa che permettono di non sentire. Non sentire dolore, non sentire paura, non sentire rabbia. Nel permettere a se stessɜ di sentire solo felicità e gioia, si dimentica che le une non possono esistere senza le altre. La felicità, di conseguenza, non sarà mai pienamente soddisfacente, se non si sente in modo altrettanto soddisfacente la paura, la rabbia e la tristezza
Fig.1 – Cono emotivo, modello multimediale delle emozioni, Robert Plutchik (1980)
Salto rapido nella storia: nello studio delle emozioni, Robert Plutchik è stato un pioniere. Psicologo statunitense e docente presso l’Albert Einstein College of Medicine, è famoso perché alla fine del 1900 teorizza “il fiore delle emozioni”, secondo cui vi sono otto emozioni primarie, che sono reciprocamente polari, divise in quattro coppie di opposti: gioia e accettazione, paura e sorpresa, tristezza e disgusto, rabbia e aspettativa. L’idea di Plutchik è che le emozioni possono essere collocate in una disposizione circolare, proprio come una ruota dei colori (Fig.1), e poi combinate in stati emotivi secondari. Attraverso la lettura di questa ruota, o fiore, si può capire l’intensità delle emozioni, che si riconoscono a seconda dei colori e che diventano sempre più vivide avvicinandosi al centro. Le emozioni all’interno del cerchio più piccolo sono quelle che si riesce a riconoscere meglio di altre perché sono vivide, come i colori utilizzati da Plutchik. Lo scopo del fiore è riconoscere proprio quelle emozioni che appaiono invece con colori opachi e che sono opache e nascoste e si percepiscono meno facilmente.
Lasciamo da parte le emozioni, argomento che approfondiremo in altri articoli più da vicino.
Alla luce di tutto questo, c’è un modo che permette di sentire tutte le emozioni, anche quelle opache, dando loro la dignità che meritano?
L’arte è la risposta alla domanda.
L’etimologia della parola deriva dalla radice ariana ar- che in sanscrito significa andare verso.
L’arte non ricopre solo il ruolo di estetica passiva, il suo lato migliore è quello nascosto, celato al mondo, l’arte intesa come terapia.
La parola “terapia” suggerisce nella cultura occidentale un qualche tipo di cura o antidoto particolare che in poco tempo guarisce dal dolore. Nel caso delle arti terapie, la terapia stessa non presuppone alcuna guarigione dal male, ma mette tuttɜ noi davanti alla famosa scelta tra la pillola rossa e la pillola blu, la questione è decidere se provare a conoscersi o restare nella zona-gabbia di comfort.
Partendo da Aristotele e arrivando ad oggi, definire la creatività non è mai stato semplice. Fu Henri Poincaré nel 1908 a dare una definizione di creatività considerata una delle più precise:
“Inventare consiste proprio nel non costruire le combinazioni inutili e nel costruire unicamente quelle utili, che sono un’esigua minoranza. Inventare è discernere, è scegliere […] fra tutte le combinazioni che si potranno scegliere, le più feconde saranno quelle formate da elementi tratti da settori molto distanti. Non intendo dire che per inventare sia sufficiente mettere insieme oggetti quanto più possibile disparati: la maggior parte delle combinazioni che si formerebbero in tal modo sarebbero del tutto sterili. Ma alcune di queste, assai rare, sono le più feconde di tutte. […] Quel che più lascia colpiti è il fenomeno di queste improvvise illuminazioni, segno manifesto di un lungo lavoro inconscio precedente. Le ispirazioni improvvise […] non avvengono mai se non dopo alcuni giorni di sforzi volontari, che sono sembrati completamente infruttuosi […] come vanno le cose, allora? Soltanto alcune di esse sono armoniose – utili e belle insieme”
Ecco ora chiarito un secondo elemento importante: il processo creativo.
La creatività vista in ottica di processo terapeutico mira a facilitare il contatto con le proprie emozioni e dare forma ad esse.
Per chiarire in modo esemplificativo il potenziale terapeutico dell’arte, parliamo di uno dei tanti strumenti creativi utilizzato dalle arti terapie come modulatore, all’interno della relazione d’aiuto tra paziente e arte terapeuta: la scrittura creativa.
Le origini delle parole sono importanti perché è lì che si trova il vero significato che negli anni è stato erroneamente traslato. Partiamo quindi dalla definizione, come per emozione e arte.
Scrivere è sinonimo di narrare, la parola deriva dal latino narrare affine a gnarus <<consapevole>>. La scrittura diventa quindi uno strumento di narrazione lineare e direzionale del multiverso in cui si vive e che rende consapevoli di ciò che si sente. Scrivere è narrarsi e non è un momento di relax ma un momento di metamorfosi.
Si è fattɜ di parole, di concetti, di idee e sillogismi che prendono forma tra loro costituendo il sistema di pensiero. Le parole descrivono, appoggiano, sostengono e comunicano la propria l’identità e auto-rappresentazione al mondo. Quando gli atteggiamenti non corrispondono all’idea che si ha delle mille sfaccettature del proprio Io, tutto crolla.
Angoscia, ansia e panico prendono il sopravvento.
Spesso problemi e angosce si arroccano, diventa difficile districarsi nella fitta palude che creano e si inizia ad auto-definirsi come vittime di qualcosa, protagonistɜ di un giallo.
Quando nasce il disagio?
Quando la propria storia di vita si arena, quando non si riesce a trovare una possibilità differente, proprio come quando la narrazione di un libro si blocca senza restituire un finale soddisfacente.
La narrazione è utile per riscrivere una storia, cambiarla, modificarla, permettere di valutare altre prospettive con l’obiettivo di un finale diverso da quello su cui si è arenata la storia.
Le memorie ricoprono un ruolo fondamentale strettamente connesso alla scrittura, e sono frutto di ricordi “grumo” ricordi “non digeriti”, che possono essere esplicati tramite le parole finché quel vissuto non si esprime, prende forma e si modifica. Questa è una delle funzioni della scrittura e di conseguenza una funzionalità delle arti terapie a cui lə terapeuta può appoggiarsi, in quanto mezzo di comunicazione tra sé e lə paziente.
Il processo creativo in sostanza, da una forma ai “grumi” che vengono visualizzati e quindi modificati, distrutti e ripensati, riscritti.
Un esempio pratico è la scrittura creativa.
Il tutto parte dalla parola “inventare” dal latino invenio = trovare. Nella scrittura creativa si possono scegliere personaggi, tempo, spazio, se narrare in prima o in terza persona, a chi dare il potere di conoscere la storia e a chi no. Chi è l’assassinǝ, chi la vittima, se c’è o meno un movente che porta avanti la storia. Si può guardare la propria storia da un punto di vista diverso. Si da la possibilità al proprio personaggio di indossare i vestiti che si vuole, di portare un taglio con cui si piace di più, di comportarsi in modo più spontaneo possibile.
La scrittura creativa da l’opportunità di aprire l’obiettivo e trovare altre storie, fino a saturare le emozioni e non fare più male. Ogni vita può essere ritrovata perché se la invento posso trovare una nuova possibilità per il personaggio e vedere che effetto gli fa, vedere che unə altrǝ me agisce in un modo diverso da ciò che avevo immaginato. Se quella possibilità funziona anche nella vita reale, la biografia di quel pezzetto di vita cambia.
Nelle arti terapie il rapporto tra paziente e terapeuta non è un rapporto bi-polare, ma si costruisce su un terzo elemento importante che fa da perno all’intera relazione terapeutica: il prodotto creativo. La prima regola fondamentale nella pratica delle arti terapie è la seguente: l’estetica del prodotto creativo del paziente non ha alcuna importanza nella terapia.
Esso fa da modulatore e contenitore di vissuti ed emozioni del mondo interno che grazie alla creatività e alla trasposizione in forma può essere espresso in primo luogo, elaborato e poi plasmato da lə paziente con l’aiuto də terapeuta, qualunque estetica esso abbia.
In questo caso la scrittura creativa è una delle tante possibilità delle arti terapie come mezzo per narrare se stessɜ e cooperare con lo specialista al fine di restituire un immagine di sé più completa e meno frammentata.
Nel 2004, l’Università della California ha pubblicato una studio sull’efficacia della scrittura e dell’arte come terapia.
In sostanza, quarantacinque studentɜ universitarɜ hanno partecipato all’esperimento. Metà di loro destinatɜ al gruppo A sperimentale e l’altra metà al gruppo B di controllo.
Prima dell’esperimento ad entrambi i gruppi sono stati somministrati svariati questionari mirati ad evidenziare in misura globale, la salute mentale e lo stress accumulato, oltre che lo stato d’animo ed eventuali sintomi fisici.
Ad entrambi i gruppi sono stati dati dei diari vuoti e diversi strumenti di scrittura/disegno.
Al gruppo A (Fig. 1 – 2) sono state date le seguenti istruzioni:
“[….] Esplora le tue emozioni più profonde,
puoi scrivere/disegnare sulle tue esperienze di vita che ti hanno
particolarmente segnatǝ. Puoi scrivere della stessa esperienza ogni giorno,
oppure di esperienze diverse. Puoi scrivere di problemi che hai vissuto
o che stai vivendo. Conflitti, discussioni, nodi che ti fanno sentire oppresso [……]
Potresti legare il tuo pensiero alle esperienze personali in altre parti della tua vita.
Come è correlato?
Alla tua infanzia, ai tuoi genitori, alle persone che ami, a chi tu
sei, o chi vuoi essere? Ancora una volta, nella tua scrittura/disegno […]
Ti chiedo di fare uno sforzo per esaminare le tue emozioni più profonde
e i tuoi pensieri…”
Al gruppo B (Fig.3) sono state date altre istruzioni:
“Quello su cui vorrei che tu disegnassi nei prossimi due ses-
sioni è la tua interpretazione di questa fotografia di natura morta.
Nel tuo disegno, voglio che tu sia il più obiettivo possibile.[….]
Ci sono molti modi per rappresentare una natura morta. Puoi disegnare
in modo realistico, puoi disegnare in modo astratto,
come ti senti più a tuo agio nel disegnare[….]”
Alla fine di un ciclo di incontri ad entrambi i gruppi sono stati somministrati i medesimi test compilati in precedenza. I risultati hanno evidenziato come nel gruppo A il quadro generale psico-fisico era di gran lunga migliorato rispetto all’inizio della terapia, mentre nel gruppo B di controllo i coefficienti erano rimasti gli stessi. La scoperta più interessante è quella legata all’umore. Per il gruppo A, l’uso della scrittura e del disegno ha apportato una grossa quantità di effetti “negativi” sull’umore, mentre per il gruppo B niente è cambiato. Questi risultati hanno senso perchè sono un’ulteriore prova che la scrittura e in generale le arti terapie non hanno lo scopo di cancellare un trauma o trasformare un vissuto da negativo in positivo ma piuttosto, portare alla luce le emozioni legate alla storia che ha bisogno di uscire e alla quale non è stato dato spazio. Alla luce di tutto questo si può affermare che scrivere/disegnare provoca una maggiore elaborazione degli eventi negativi e che le arti terapie non sono solo una pratica di benessere ma di elaborazione di storie spezzate e nodi psicologici che hanno bisogno di essere attraversati. In secondo luogo e a conclusione del percorso di attraversamento emozionale, queste pratiche contribuiscono a restituire anche l’equilibrio psico-fisico dell’individuo. Scrivere è raccontare, ci si racconta a se stessɜ e anche ad altrɜ. È un gesto molto intimo, fatto di parole impresse su carta. Simboleggiano, rafforzano, portano alla mente emozioni e sensazioni. Le parole sono importanti, possono essere ponti, ma possono essere anche muri e scrivere può aiutare a creare nuovi ponti o abbattere vecchi muri. La scrittura è uno di quei modi per ascoltare la propria storia e poter cambiare le parole, perché se si riesce a cambiare le parole e a cancellare quelle che non sono realmente appartenenti alla storia, ma che vengono autoimposti o che la società ha imposto, sarà un passo in più verso la libertà di conoscere se stessɜ.
Concludo riportando le parole della prof.ssa Mariella Sassone presidentessa di APISAT, gestalt counsellor, arteterapeuta e docente presso Nuova associazione europea per le Arti Terapie, la quale a mio parere ha dato l’esatta definizione di cosa sono le arti terapie:
“A questo punto mi viene da dire; ma in fondo l’arte terapia che cos’è?
[…] È guardare una bella forma sicuramente, ma darle movimento.
Ma darle movimento che vuol dire?
Darle una storia.
Ma se io gli do una storia che vuol dire?
Che gli do una nuova vita.
Questa per me è l’arte terapia.”
Fonti
- Pizarro J., The Efficacy of Art and Writing Therapy: Increasing Positive Mental Health Outcomes and Participant Retention After Exposure to Traumatic Experience, Journal of the American Art Therapy Association, Vol. 21, 2004.
- Plutchik R., Emotion: A Psychoevolutionary Synthesis, Harper & Row, 1980.
- Poincaré H.,, Scienza e metodo, Einaudi, 1997.
- Sassone M., “Adesso… me lo scrivo. Sull’utilizzo della scrittura nella relazione di aiuto e… di autoaiuto. Saggio ma non troppo, Mimesis, 2018.
- www.nuoveartiterapie.net/rivista.
- Il Caleidoscopio delle Arti Terapie – Mariella Sassone
Se sei interessatə ad approfondire l’argomento, ti consiglio la lettura dei miei articoli di approfondimento prossimi e la lettura di questi libri:
- Caterina R., Che cosa sono le arti terapie, Carocci, 2005.
- Ferrari S., Scrittura come riparazione. Saggio su letteratura e psicoanalisi, Laterza, 2005.
- Luzzatto P. C., Arte terapia. Una guida al lavoro simbolico per l’espressione e l’elaborazione del mondo interno, Cittadella editrici, 2009.
Francesca Laurenzano
Insta: francesca__laurenzano
https://www.linkedin.com/in/francesca-laurenzano-a77b66213/
Revisionato: Antonio Iannone e Valentina Arecco (vale_arecco)