Il primo mito da sfatare quando si parla di genere e linguaggio è la credenza secondo cui “da qualche anno” si è cominciato a ipotizzare di modificare il nostro modo di parlare per creare forme di comunicazione più inclusive.
Non è così: il linguaggio è sempre, costantemente in evoluzione e si trasforma a seconda delle esigenze della società. Infatti la questione è tanto linguistica quanto sociale.
L’obiettivo è riuscire ad utilizzare termini inclusivi che ci permettano di rivolgerci ad una pluralità (di genere) mista, il buon vecchio “ciao a tutti” non è più sufficiente.
Allo stesso tempo, è necessario riuscire a rivolgersi ad un singolare che non si riconosce né col maschile né col femminile. Questa impresa in italiano è particolarmente ardua dato che stiamo parlando di una lingua flessiva, ovvero che flette sostantivi e aggettivi in base al proprio genere, ed è sprovvista del neutro.
Quindi non si tratta di semplici accorgimenti lessicali, ma di una vera rivoluzione strutturale del linguaggio.
Il maschile plurale in italiano non è già di per sé inclusivo?
Dipende da cosa intendiamo per “inclusivo”. Nella grammatica italiana è previsto che il maschile sovraesteso (“ciao a tutti”) venga utilizzato per una moltitudine mista e in questo senso è inclusivo. Tuttavia, siccome viviamo in una società in cui tutti i generi eccetto il maschile sono considerati minoranza, questa inclusività grammaticale, che prevede proprio il maschile come genere ombrello, fatica ad essere percepita come tale dato che non c’è un’inclusione sociale.
Non esiste ancora una soluzione definitiva a questo problema. Si va per tentativi, e purtroppo non possiamo aspettarci una risposta da* linguist* (e sono proprio i/l* linguist* a dircelo). Il loro compito infatti è quello di spiegarci come la nostra lingua funziona e di osservare come essa si evolve, non dirci come si usa. È sempre la comunità tutta che, con l’evolversi delle sue esigenze, deciderà come la propria lingua dovrà cambiare.
FUN FACT: “Petaloso” non è mai stato inserito in alcun vocabolario.
Cresce, nella nostra società, l’interesse nei confronti di un’uguaglianza di genere e di conseguenza verso il linguaggio, che è sempre in evoluzione e si sta plasmando per assecondare le necessità della nostra cultura che cambia. Siccome però è un processo necessario e inevitabile, ma estremamente complesso e lungo, si procede per tentativi:
- CHIOCCIOLA @
Es: “tutt@, amic@, compagn@”
Simbolicamente efficace perché può essere letta come una “a” inscritta in una “o”. Anche qui però non abbiamo una pronuncia, né il plurale. Questa forma inoltre può essere problematica per DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) e neurodiversità perché viene percepito come simbolo e non come lettera.
- ASTERISCO *
Es. “tutt*, amic*”
Viene considerato generalmente più elegante della “@” e quindi è più usato, ma presenta gli stessi problemi. Rischia di non essere percepito come lettera da DSA e neurodiversità, non si può pronunciare e necessita dell’articolo. Quest’ultimo costituisce un problema, in quanto non è ancora stato trattato con sufficiente attenzione.
- U
Una soluzione molto pratica in quanto funziona sia nello scritto che nel parlato. C’è chi la usa solo al singolare, chi anche al plurale. Tuttavia, in questo caso, diventa complesso distinguere il numero: per poterlo fare bisognerebbe utilizzare gli articoli, ma lì si riaprirebbe il problema di come declinarli. Inoltre in alcuni dialetti (come il sardo) è già presente l’utilizzo di questa vocale e non è considerata di genere neutro.
- SCHWA ə
Simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale gender-fluid. Anche il suo suono viene percepito in maniera neutra. Per quanto riguarda il numero c’è chi usa schwa breve “ə” per il singolare e schwa lunga “3” per il plurale. Purtroppo il suono non è così distinguibile tra i due e quindi presenta gli stessi problemi della u. Data la forma, potrebbe dare qualche problema per persone con DSA e neurodiversità anche se non ancora provato.
Come si può evincere da queste osservazioni, siamo ancora ben lontani da una soluzione definitiva.
Da non dimenticare poi quei fattori importantissimi che non sono ancora stati presi in dovuta considerazione nel dibattito: gli articoli che, in quanto flessivi, subiscono mutazioni dal genere; i dialetti delle varie zone d’Italia che prevedono già l’uso di vocali come la “u” o “ə” senza il neutro.
Ricordiamoci però che un linguaggio più inclusivo (gender neutral) può essere espresso anche con termini più atipici e senza per forza ricorrere a simboli particolari. In attesa quindi di soluzioni più definitive, di seguito riportiamo alcuni suggerimenti:
NO: “i diritti dell’uomo”
SI: “i diritti umani”
NO: “Gli Inglesi, i Francesi, gli Spagnoli”
Sì: “Inglesi, Francesi, Spagnoli” (i sostantivi in -ese, -esi sono ambigenere, è sufficiente evitare l’articolo)
NO: “Carla, Federico e Maria sono arrivati ora”
Sì: “Carla, Federico e Maria sono arrivate ora” (si consiglia di accordare il genere con l’ultimo termine della lista o con quello maggioritario)
NO: La Merkel e Conte
Sì: Merkel e Conte (sia al maschile che al femminile, l’articolo va messo a tutti o a nessuno)
NO: Il ministro/ avvocato/ ingegnere/ assessore/ magistrato Carla
Sì: La ministra/ assessora/ ingegnera/ avvocata/ magistrata Carla (flettere sempre le professioni al corretto genere)
FONTI
- “Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole”, Vera Gheno
- “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, Alma Sabatini