Quando parliamo di parità sul lavoro tra uomini e donne non possiamo non citare il congedo di maternità obbligatorio.
Ad oggi è un vero e proprio obbligo e diritto della donna.
Nel corso del tempo ci sono state diverse modifiche alle modalità di accesso e di erogazione del congedo.
Con l’ultima manovra finanziaria, questo diritto è stato leso ma all’opinione pubblica è stata fatta passare l’idea che un diritto mancato potesse essere visto come una conquista.
Parità sul lavoro non significa “far fare le stesse cose a uomini e donne perché siamo uguali”.
Le situazioni, le condizioni e le discriminazioni sociali sono diverse.
Lo Stato, secondo la Costituzione, deve rimuovere ogni ostacolo di ordine economico e sociale che possa impedire il pieno sviluppo della persona umana all’effettiva partecipazione economica, politica e sociale del Paese.
Per condizioni diverse, servono impegni diversi.
Una visione piatta della società che predica la meritocrazia non riesce a mettere a fuoco le diseguaglianze.
Queste diseguaglianze purtroppo non spariscono con accorgimenti temporanei e unificati per tutt*.
Servono invece strategie mirate per far avere le stesse possibilità, compreso il congedo.
Laddove lo Stato Italiano denuncia a gran voce un calo della natalità (rifiutandosi di vedere la correlazione tra demografia e crisi climatica) e richiedendo alle donne di “fare figl*” a suon di bonus bebè e bonus asili, non si fa niente per sollevare le donne dal carico del lavoro di cura.
In un’ottica di famiglia ancora tradizionale e patriarcale, le donne sono relegate in casa (più della metà delle donne in Italia non lavora) e se vogliono uscirne, devono farlo con le loro forze, in un sistema che non solo non agevola ma spesso ostacola il loro accesso al mondo del lavoro e all’autonomia economica (che ricordiamo, è strettamente legata alla capacità di sottrarsi a situazioni di violenza domestica).
- COS’È?
Il congedo di maternità obbligatorio corrisponde al periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto alla lavoratrice (durante il periodo di gravidanza e puerperio) per un totale di 5 mesi.
La donna può decidere se usufruire di 2 mensilità prima del parto e 3 dopo, oppure decidere di avvalersene in modalità diverse, sempre per un totale di 5 mesi (1+4 con certificazione del* dottor*).
La retribuzione per il periodo corrisponde all’80% dello stipendio e si può utilizzare questo congedo solo una volta per figl*.
- A lavoro fino al parto
Dal 2019 la manovra finanziaria del Governo ha evidenziato che si potrà lavorare fino al giorno del parto.
Potrebbe sembrare una conquista.
Il problema è che molte donne rischiano di andare a lavorare anche se non stanno bene mettendo a rischio la gravidanza per non perdere il posto di lavoro e/o la retribuzione.
Ma quali sono effettivamente le criticità del congedo?
Le criticità principali sono
- Congedo di paternità minimo
- Dimissioni in bianco
- Disoccupazione femminile (la metà delle donne in Italia non lavora)
- Lavoro di cura non retribuito (uno degli elementi legati alla disparità salariale)
E per quanto riguarda i padri?
Auspicheremmo che nel 2020 il lavoro di cura de* figl* fosse equamente diviso.
Non è così.
Nel 2020, il congedo di paternità obbligatorio è di 7 giorni. In Europa è di 8 settimane circa.
C’è poi un congedo “facoltativo” che è legato al congedo obbligatorio della madre. Se la donna vuole rientrare qualche giorno prima del termine a lavoro, il padre può usufruire di quei giorni.
I padri che usufruiscono del congedo in Italia sono il 18,4%.
Ad un anno dal parto, molte donne sono costrette a lasciare il lavoro.
In molti casi perché i/l* dator* di lavoro non concede un part time, e diventa impossibile conciliare i/l* figl* e il lavoro.
Gli asili nido spesso hanno pochi posti, e le rette mensili sono alte. I costi variano moltissimo da regione a regione, ma in media si ha un costo di 380 euro (301 per il nido e 80 per la mensa).
Sapete cosa sono le dimissioni in bianco?
È una pratica diffusa che consiste nel far firmare al* lavorator* le proprie dimissioni in anticipo, al momento dell’assunzione.
Queste dimissioni saranno poi completate con data e firma nel caso, ad esempio, di una gravidanza.
Ci sono altre casistiche come infortuni o comportamenti sgraditi, ma la pratica è diffusa soprattutto verso le donne nel caso di una gravidanza.
FONTI
https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=46122
https://leasenews.it/news/dati-di-settore/disoccupazione-italia-lindagine-istat-giugno
https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=50584