Il termine deriva dal latino “matrimonium”, unione di due parole latine, mater, madre, genitrice e munus, compito, dovere.
Il matrimonio era, nel diritto romano, un “compito della madre”, intendendosi proprio come un legame che rendeva legittimi i/l* figl* nati dall’unione.
L’art. 29 della nostra Carta costituzionale recita
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
L’articolo riconosce alla famiglia una posizione preminente all’interno della società. Il riconoscimento giuridico della famiglia avviene attraverso l’istituto del matrimonio, che può essere civile (celebrato in municipio dal sindaco o da un suo rappresentante) o concordatario (celebrato con una cerimonia religiosa che rispetta il diritto canonico ed è riconosciuta dallo Stato).
La definizione di famiglia come “società naturale” evidenzia che la famiglia ha un diritto originario rispetto allo Stato, che deve essere da quest’ultimo riconosciuto e tutelato.
Il secondo comma ha permesso la riforma del diritto di famiglia del 1975: essa ha modificato il Codice civile del 1942, che prevedeva un modello familiare in cui l’autorità del capofamiglia prevaleva sulla volontà della moglie e de* figli*. In base a questo articolo e alla dichiarazione di uguaglianza tra gli uomini era infatti insostenibile la potestà maritale, ovvero la prevalenza del marito sulla moglie.
Sino al 2016, solo il matrimonio era considerato il fondamento su cui la famiglia poggiava.
La legge n. 76/2016 ha scardinato tale paradigma introducendo le unioni civili per le coppie dello stesso sesso, e la possibilità per le coppie conviventi, indipendentemente dal sesso dei loro componenti, di regolare gli effetti patrimoniali della loro convivenza.
Oggi, in Italia, come in ogni paese civile che si rispetti, è possibile scegliere la propria forma di società naturale che sia essa fondata sul matrimonio, su un’unione civile o su un contratto di convivenza!
Requisiti del matrimonio
Il primo requisito per potersi sposare è la libertà di stato (art. 86 c.c.), cioè non può sposarsi chi è legato da un precedente matrimonio a meno che:
- il precedente vincolo sia stato annullato, il precedente vincolo risulti nullo, il vincolo si sia sciolto per via del divorzio, il coniuge sia morto.
- il raggiungimento della maggiore età (art 84 c.c.),
- la capacità di intendere e di volere (art. 85 c.c.),
- l’assenza di commixtio sanguinis (art. 89 c.c.), ossia una donna che sia stata sposata non può contrarre nuove nozze se non dopo trecento giorni dallo scioglimento o annullamento del matrimonio precedente, (per rendere trasparente la paternità di un eventuale nascituro) eccetto il caso in cui il matrimonio sia stato dichiarato nullo per impotenza di uno dei coniugi.
Casi di nullità
- assenza di libertà di stato, cioè quando uno od entrambi i coniugi risultano vincolati da precedenti nozze non ancora annullate o sciolte.
- la sussistenza di interdizione giudiziale (incapacità di intendere e di volere) di uno dei coniugi, (sanabile qualora revocata l’interdizione vi sia stata coabitazione per un anno);
- l’incapacità naturale di uno dei coniugi, (anche questa sanabile se vi è stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace abbia recuperato le facoltà mentali)
- difetto d’età prevista dal codice;
- vincolo di parentela, affinità, adozione o affiliazione
- consenso estorto con violenza, con timore o per errore
- contratto con la simulazione
Il matrimonio civile, sempre più diffuso al giorno d’oggi, è, per definizione, la celebrazione che garantisce automaticamente tutti gli effetti legali ed amministrativi.
Tale rito civile viene celebrato davanti all’Ufficiale di Stato Civile che, in presenza di due testimoni di nozze scelti dagli sposi, legge alcuni articoli del c.c. che regolano il matrimonio:
- Articolo 143 c.c. – Diritti e doveri reciproci dei coniugi
Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
2. Articolo 144 c.c. – Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia
I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.
3. Articolo 147 c.c. – Doveri verso i figli
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
Cosa si intende per “unione civile”?
Introdotta con la Legge Cirinnà, l’unione civile è il riconoscimento giuridico della coppia formata da persone dello stesso sesso, finalizzato a stabilirne diritti e doveri reciproci.
Tale istituto estende alle coppie omosessuali gran parte dei diritti e dei doveri previsti per il matrimonio, incidendo sullo stato civile della persona.
Dal disegno di legge sulle unioni civili, in sede di discussione, venne stralciato l’intero articolo 5, che faceva riferimento alla stepchild adoption, l’adozione del figlio naturale del partner da parte dell’altro membro di una coppia omosessuale.
La L. n. 76/2016 si compone di un unico articolo e 69 commi. L’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso è introdotto nella prima parte (commi 1-35); nella seconda (commi 36-65) trovano invece disciplina le convivenze di fatto.
Maggiori informazioni sulla stepchild adoption potete trovarli sempre alla nostra pagina Eduxo nell’articolo sulle Famiglie omogenitoriali.
Differenze con il matrimonio
L’unione civile è relativa in modo esclusivo a persone dello stesso sesso e non riconosce espressamente né l’obbligo di fedeltà né quello di collaborazione.
Nel matrimonio la moglie aggiunge il cognome del marito al suo, nell’unione civile è possibile che la coppia scelga il cognome di famiglia.
Le parti, con dichiarazione all’ufficiale di stato civile, possono indicare un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi, e i partner potranno anteporre o posporre al cognome comune il loro cognome, se diverso.
Lo scioglimento dell’unione civile ha effetto immediato e non è previsto un periodo di separazione.
Fase patologica del matrimonio e dell’unione civile
Chi intende sciogliere un matrimonio, in Italia, deve affrontare due distinti procedimenti.
Il primo ha per oggetto la “separazione personale dei coniugi” (art. 150 e ss del c.c.) e trova la sua ratio nell’esigenza di offrire una pausa di riflessione alla coppia, all’interno della quale ben ponderare la sorte del rapporto coniugale.
Le strade percorribili per la separazione sono
iscrizione a ruolo di un ricorso consensuale qualora ci sia l’accordo di entrambe le parti oppure in assenza di consenso, separazione giudiziale, la quale, stando alla situazione dei nostri Tribunali, potrebbe arrivare a coinvolgere le parti per oltre 10 anni.
Strumento alternativo al Tribunale, introdotto con L. n. 2014 n. 162, in un’ottica di “degiurisdizionalizzazione”, utilizzabile sia per la separazione che per il divorzio, è la Convenzione di negoziazione assistita sottoscritta allo studio, con due avvocati, basata sulla leale collaborazione delle parti.
L’Italia, è tra i pochissimi paesi ad aver ancora la separazione prima del procedimento di divorzio, con doppio passaggio, per i coniugi, in termini di costi e di tempi.
Nei principali Paesi europei, esiste invece un preventivo periodo di separazione di fatto.
DIVORZIO
Con tale procedimento si mette il punto definitivo al rapporto coniugale quasi in tutti i paesi.
Ad oggi solo nelle Filippine e nella Città del Vaticano non è prevista una procedura civile per il divorzio.
In Italia, lo “scioglimento del matrimonio” è stato introdotto dalla L. n. 898/1970.
Nel 1974, un referendum cercò invano di farlo fuori. Con L. n. 55 del 2015, si sono rivisitati i termini per ottenere il divorzio, è stato così introdotto il “divorzio breve”.
La norma prevede che per la proposizione della domanda di divorzio le separazioni si devono essere protratte senza interruzione da almeno dodici mesi a seguito della comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale.
Nelle Unioni Civili, a differenza di quello che avviene nel matrimonio, si addiviene allo scioglimento in modo più rapido. Non si deve avviare la separazione, è sufficiente che i partner comunichino all’Ufficiale di Stato Civile, anche non insieme, la loro intenzione di dividersi.
Una volta trascorsi tre mesi, si può proporre domanda di divorzio.
FONTI
Trattato della separazione e del Divorzio, M.A. Lupoi