TEORIA DELL’OGGETTIVAZIONE SESSUALE (Fredrickson & Roberts, 1997)
Parte dal presupposto che le donne siano generalmente educate in modo da interiorizzare la prospettiva di un osservatore esterno, il cosiddetto “sguardo oggettivante”, come un punto di vista centrale nella visione di se stesse. Ad un livello più propriamente psicologico, quindi, le donne e le ragazze si trovano a valutare e a definire se stesse e il proprio aspetto fisico in relazione ai commenti e agli sguardi esterni ormai interiorizzati.
Il fenomeno dell’oggettivazione sessuale è strettamente legato a quello della sessualizzazione e di entrambi facciamo esperienza quando, ad esempio, accendendo la televisione veniamo a contatto con una pubblicità nella quale l’interezza di una persona (principalmente delle donne) è ridotta ad una sola parte del corpo e la persona in questione è rappresentata come sessualizzata. Dopo una riflessione più approfondita sarà chiaro a tutt* quanto la nostra società sia piena di riferimenti più o meno espliciti nei confronti di donne, ma anche uomini, rappresentat* in maniera sessualizzata e saranno chiare anche l’importanza e la responsabilità che ognuno di noi, in quanto componente di una comunità, ha e deve assumersi.
I concetti di oggettivazione e auto-oggettivazione sessuale sono quelli dai quali è necessario partire per poi giungere a fenomeni più complessi come la negazione della natura umana (deumanizzazione) e la violenza di genere, valutandoli da diverse angolazioni in modo tale da indagarne le cause, i processi e le conseguenze sia sul piano individuale sia su quello interpersonale e sociale.
Innanzitutto, sarebbe utile affrontare una riflessione sul corpo e sul concetto di bellezza. Questi ultimi, infatti, sono dei costrutti sociali modificabili nel tempo in quanto influenzati da variabili storiche e culturali. Il modo in cui noi ci relazioniamo nei confronti del nostro corpo è profondamente determinato dall’epoca storica in cui viviamo: nel corso dei secoli i concetti di “bello” e “brutto” sono cambiati radicalmente e con essi è cambiato anche l’ideale di bellezza specificatamente femminile. Questa considerazione di base è fondamentale per poter affermare che in realtà non esiste un corpo universalmente bello e che ciò che lo rende tale è proprio la sua unicità. Ѐ chiaro quindi quanto sia fondamentale la promozione di un rapporto più sano con il proprio corpo, che parta dall’esperienza soggettiva che ognuno di noi fa di esso per arrivare ad una riflessione più ampia.
OGGETTIVAZIONE SESSUALE
Si verifica quando le parti del corpo di una persona, e principalmente le sue funzioni sessuali, sono:
- scisse dal resto della persona;
- ridotte allo status di mero strumento;
- usate per descrivere la persona nella sua interezza.
AUTO-OGGETTIVAZIONE SESSUALE
- Si assume una prospettiva esterna a sé come modo principale attraverso cui percepirsi.
- Si interiorizza uno sguardo esterno per guardare a se stess*, quello sguardo che considera l’altra persona interessante solo da un punto di vista fisico e/o sessuale.
ALCUNE CONSEGUENZE
A livello individuale
- Aumento delle esperienze emozionali negative legate al corpo, principalmente vergogna
- Riduzione delle esperienze di stati motivazionali di picco (momenti che ci regalano soddisfazione e gioia)
- Ansia o depressione
- Disturbi alimentari
- Ricorso a chirurgia plastica
- Autolesionismo/abuso di sostanze
- Insoddisfazione sessuale, minore uso di anticoncezionali, maggiore frequenza di comportamenti a rischio
- Peggioramento delle performance fisiche, motorie e cognitive
A livello sociale
- Molestie sessuali
- Abusi
- Violenza di genere
- Stupri
COSA POSSIAMO FARE?
- Insegnare a prestare attenzione a parole e immagini, a guardare ai mass media in modo critico, decodificandone i messaggi
- Intervenire direttamente sui media, imponendo la diversificazione delle immagini femminili
- Insegnare alle istituzioni educative a sostenere senza ambiguità le politiche di integrazione
- Sanzione adeguatamente le condotte sbagliate
Ognun* di noi si sarà sicuramente imbattut*, almeno una volta nella vita, in una di quelle pubblicità tanto in voga negli anni ’50-‘60 in cui la donna veniva rappresentata come subordinata all’uomo, con il solo compito di badare a casa, figli e marito. Nonostante oggi queste campagne pubblicitarie verrebbero immediatamente censurate, non mancano esempi attuali di stereotipi di genere e di oggettivazione dei corpi, che riguardano principalmente le donne ma che non risparmiano nemmeno gli uomini. Gli stereotipi che li vedono protagonisti tendono ad associarli ad attività, tratti caratteriali e standard fisici ben specifici.
Proprio la questione relativa al corpo è di primaria importanza quando si parla di pubblicità e mass media in generale. Se da un lato i media hanno per anni proposto e alimentato un ideale preciso di donna, dall’altro hanno contribuito a rafforzare l’idea che ci fosse un “modo giusto di essere uomo“.
Con la spinta del movimento #metoo, espressione di lotta contro la violenza sessuale rivolta al genere femminile, molti brand hanno compreso la necessità di rivedere i propri valori e la propria comunicazione. È quello che ha fatto per esempio Gilette, riflettendo sullo storico slogan “The best a man can get” (tradotto nella versione italiana con “Il meglio di un uomo“) e sostituendolo, dopo anni, con “The best a man can be” (“Il meglio che un uomo può essere“).
Se è vero che, da un lato, gli stereotipi sono ovunque e ci consentono di semplificare la realtà, dall’altro bisogna sempre ricordare che una rappresentazione corretta (diversificata e non stereotipata) è fondamentale. I mass media, infatti, sono ormai considerati quasi come lo specchio della società. Proprio per questo motivo è di primaria importanza schierarsi contro pregiudizi, discriminazioni e stereotipi tradizionali a favore della diversità.
Nelle pubblicità, specialmente negli anni ’50-‘60, è presente un doppio stereotipo: quello che vede la donna come sottomessa/relegata al ruolo di cura e quello che identifica l’uomo come dominatore aggressivo e prepotente.
L’oggettivazione del corpo femminile è un fenomeno che emerge da anni in diverse campagne pubblicitarie e in spot come, per fare un esempio, quello di Patatine Amica Chips, che è stato giustamente censurato perché violava gli articoli 9 e 10 del codice di Autodisciplina Pubblicitaria relativi a volgarità, indecenza e dignità della persona.
La presenza di corpi socialmente considerati “perfetti” non fa altro che aumentare pensieri autodistruttivi e aspettative irreali. A tal proposito diversi brand hanno provato a contrastare questa tendenza, come la nota campagna di Dove “For real beauty“. In uno degli spot è possibile vedere le fasi di cambiamento di una modella, da prima a dopo il make-up e i ritocchi tramite Photoshop. La pubblicità si conclude con la frase: “Non c’è da meravigliarsi che la nostra percezione di bellezza sia distorta“.
Altri brand, invece, cercano di lottare contro i tabù che riguardano il corpo (in particolare quello femminile) realizzando pubblicità che parlano di mestruazioni o cercando di promuovere la “normalizzazione” di immagini che riguardano i peli, per esempio, che paradossalmente non vengono mai mostrati in pubblicità di rasoi o prodotti utili alla depilazione.
L’uomo, in base alla rappresentazione di molti brand, è forte, virile, sicuro di sé, ha successo, ha un fisico scolpito, è poco emotivo e ama sport e motori. Non è un caso, allora, che anche il corpo maschile venga oggettivato, in modo particolare per promuovere determinati prodotti, quindi a fini commerciali. Tale fenomeno è noto anche come hunkvertising.
La presenza di stereotipi di genere in pubblicità può incidere negativamente sulla salute mentale degli individui che potrebbero, difatti, sentire di non essere all’altezza degli standard proposti dai media. Alle aziende spetta quindi un compito chiave: almeno per la pubblicità, potrebbero (e dovrebbero) compiere scelte in grado di promuovere una visione più realistica e diversificata.
Allora, in seguito ad un’analisi meno superficiale di ciò con cui quotidianamente veniamo a contatto e che influenza in modo decisivo le nostre scelte, ci si chiede cosa sia oggi la pubblicità e quale sia il suo scopo primario. È la stessa domanda che si pone Carol Pardun all’interno del libro “Advertising and society: an introduction“: «(la pubblicità è) un riflesso della società o un agente di cambiamento»?
FONTI
Objectification Theory: Toward Understanding Women’s Lived Experiences and Mental Health Risks (Fredrickson & Roberts, 1997)
Quando le persone diventano cose (Pacilli, 2014)
Deumanizzazione. Come si legittima la violenza (Volpato, 2011)
Gender stereotypes in advertising: a review of current research (Stacy Landreth Grau & Yorgos C. Zotos)
https://www.insidemarketing.it/stereotipi-di-genere-in-pubblicita/
Gender stereotypes in advertising: exploring new directions (Yorgos C. Zotos & Stacy Landreth Grau)