Il Gender pay gap è la differenza di salario tra uomo e donna a parità di ore di lavoro.
Nonostante spesso e volentieri noi italiani siamo i primi a criticare la nostra nazione, questa volta dobbiamo ricrederci: il divario salariale secondo una statistica OCSE in Italia è solo del 5.3%.
Per ogni euro che un uomo guadagna, una donna guadagna 94.4 centesimi.
La media Europea invece è piuttosto deludente, del 13.8%; lo Stato che ha la condizione peggiore è l‘Estonia, con una percentuale del 28.3%.
Ma quindi dobbiamo essere contenti di questo punteggio? No.
La ricerca e le percentuali non tengono conto del tasso di occupazione e dei titoli di studio. Il sistema lavorativo italiano risulta così sopravvalutato: le donne che lavorano sono per la maggior parte istruite e/o laureate, quindi con qualifiche tendenzialmente alte, ma le donne che lavorano rimangono rare, una minoranza rispetto al numero di lavoratrici negli altri paesi europei.
Infatti nella classifica europea, nella fascia d’età 20-64 anni, il tasso di occupazione femminile in Italia è del 53,1%, migliore solo di quello della Grecia. La classifica OCSE inoltre non tiene conto neanche della differenza tra pubblico e privato. In Italia nel settore statale la presenza femminile è molto forte e il contratto presenta condizioni di genere eque, nel privato invece non è sempre così.
Scorporando i due settori il gender gap del pubblico scende al 4,4% mentre quello del privato sale al 17,9%. In nessun altro Paese europeo la distanza è così evidente, ciò spiega la posizione dell’Italia nella classifica generale.
Dopo aver letto questi sconfortanti dati viene da domandarsi il motivo di un problema così marcato. Francesca Bettio (docente universitaria di Economia e Politica del lavoro dell’Università di Siena) prova a spiegarlo
“L’elenco delle motivazioni che portano alle differenze di reddito è lungo. Le donne sono più istruite, ma la maggior istruzione non riesce a compensare una serie di fattori a loro sfavore. In particolare tendono a fare meno carriera e soffrono ancora di una distribuzione meno favorevole rispetto ai mestieri e ai settori con le retribuzioni più alte. Sono infatti meno presenti nel mondo della finanza, fra manager, scienziati ed esperti informatici. Sono invece molto numerose nel settore della cura alla persona o nelle pulizie”.
F. Bettio
Spesso molte donne, senza esserne consapevoli, scelgono lavori più adatti allo stereotipo femminile (dall’insegnante alla parrucchiera, dalla cassiera alla segretaria), caratterizzati da retribuzione bassa e scarsa prospettiva di carriera, ma più compatibili con la gestione delle responsabilità familiari.
Magari perché garantiscono vicinanza a casa, orari di routine, possibilità di part time o di interruzione del lavoro e assenza di trasferte.
Tutto ciò che permette insomma di tenere assieme professione e famiglia.
Lungi dall’essere una libera scelta, il part time spesso è scelto per mancanza di alternative da circa 2 milioni di lavoratrici ed è involontario per il 60,2% delle donne che lo sceglie. Del resto, il 63,5% degli italiani riconosce che a volte può essere necessario o opportuno che una donna sacrifichi parte del suo tempo libero o della sua carriera per dedicarsi alla famiglia.
Ci vogliono quindi molti sforzi per migliorare questa situazione e dati alla mano, si può constatare che il divario salariale, ma anche culturale, in Italia tra uomini e donne purtroppo è ancora presente. Noi tutti e noi tutte dobbiamo quindi impegnarci e agire perché siano piano piano raggiunte le pari opportunità, spesso sono i piccoli gesti che aiutano a diminuire la differenza tra uomini e donne, che poi in fondo è puramente una costruzione sociale.
Siamo tutti uguali e viviamo tutti insieme, rispettiamoci!