A fronte di una situazione straordinariamente grave, dovuta alla pandemia e alla futura crisi economica, era necessaria una risposta economica di straordinaria portata e un piano di rilancio comunitario.
Dopo 4 intense giornate di vertice, si è arrivati ad un accordo storico che dovrebbe andare in questo senso: la Commissione Europea, all’interno del suo recente piano Next Generation EU, per la prima volta emetterà da sé titoli di debito e raccoglierà sui mercati €750 miliardi, la dotazione del Recovery fund, che verranno distribuiti attraverso prestiti ai 27 Stati membri per €360 miliardi, sussidi ai singoli paesi per €312,5 miliardi e programmi comunitari per €77,5 miliardi.
L’Italia otterrà €209 miliardi, €82 miliardi in sussidi, che non dovrà quindi restituire, e €127 miliardi in prestiti con tassi e tempi di rimborso decisamente vantaggiosi, il cui rimborso inizierà nel 2027 e terminerà nel 2058.
I fondi sono posti sotto condizioni e non sono liberamente disponibili
Ogni Stato, nella sua sovranità nazionale ma seguendo le raccomandazioni comunitarie, dovrà presentare e seguire un dettagliato programma di riforme che spieghi l’impiego dei fondi (c.d piani per la ripresa).
Questi piani saranno valutati dalla Commissione e approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata. Crolla perciò il potere di veto chiesto dall’Olanda che avrebbe permesso anche ad una singola nazione di bloccare la decisione del Consiglio.
Viene però data la possibilità per ogni Stato di sollevare dubbi sullo scostamento di un Paese dal piano presentato e chiedere che il Consiglio europeo discuta la questione e decida come intervenire, anche bloccando l’erogazione dei fondi.
All’Italia verrà chiesto quello che avremmo dovuto comunque fare da anni. L’attuazione di un piano di riforme generale che vada a garantire una crescita economica di lungo periodo e che sblocchi il pantano in cui si trova la burocrazia e la giustizia.
Con il Recovery Fund arriveranno in Italia €209 miliardi. Nessuna risorsa però dovrebbe finanziare assistenzialismo, politiche pensionistiche dannose, interventi a corto raggio o imprese pubbliche buchi neri.
È fondamentale che questi soldi vadano a finanziare gli investimenti per un futuro sostenibile. Questo, in settori che possono generare occupazione resiliente, e che ciò avvenga senza sprechi, con trasparenza e nella legalità.
Ad esempio
- istruzione e ricerca ad alta specializzazione
- industrie 4.0 capaci di affrontare le prossime innovazioni
- sanità ovunque efficace ed efficiente
- digitalizzazione delle imprese che non hanno ancora investito nel cambiamento
- infrastrutture strategiche, funzionali e funzionanti
- sostegni all’occupazione giovanile,
- transizione ecologica
Da anni si discute di semplificazione della burocrazia, riforma dei processi, piani efficaci contro l’evasione e la corruzione, azioni dure e incisive contro tutte le mafie.
Si spera che sia l’occasione per lavorare su questi temi e si spera che il Governo sia in grado di farlo.
Come una coperta troppo corta, ogni accordo è un compromesso.
Per garantire ampia sovranità nazionale si è rinunciato ad un piano di rilancio interamente comunitario.
È invece comunitaria la politica monetaria della BCE. Il rischio è che si riveda al ribasso la quota di quantitive easing a noi rivolta per via dell’ampia quota di aiuti del recovery fund.
Resta poi da chiarire quanto l’Italia dovrà versare nel budget europeo nel 2028 e quindi il saldo netto delle risorse in entrata nel lungo periodo.
Queste iniziative lanciano un messaggio di forte unità. Gli Stati europei non affrontano la crisi economica da soli ma lo fanno sostenendosi a vicenda, nella consapevolezza che la crescita economica dipende dalla forza degli altri Stati partner commerciali.
In una situazione di instabilità come quella attuale, a perdere sono quindi i sovranisti. Si conferma suicida la politica fatta di egoismo e di scarsa visione comunitaria e appare vincente il pensare al paese come incastonato in una solida comunità di popoli.