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Italia e trattamento DCA: a che punto siamo?

Il 15 Marzo è la Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, un’occasione preziosa per riflettere sui progressi fatti e gli obiettivi da perseguire nel trattamento dei disordini del comportamento alimentare (DCA). Nel comunicato stampa del 2022 dell’Istituto Superiore di Sanità si evidenzia la situazione attuale per quanto riguarda i mezzi e le strutture disponibili sul territorio nazionale, ed essa non appare come una delle più rosee. Nel 2022 in Italia le strutture accreditate erano 108, una cifra che comprende sia i centri pubblici che quelli privati.  È stato deciso di annettere le cliniche private alla lista  in seguito all’aumento dell’incidenza dei disturbi del comportamento alimentari nel periodo pandemico e immediatamente successivo, a causa dei maggiori tempi di attesa per il ricovero che ha portato a un maggior rischio di cronicizzazione e di ricaduta. Questo primo passo avanti è stato poi ripreso nel 2023 con la creazione di una piattaforma, costantemente aggiornata e accessibile a tuttз, contenente l’elenco di tutte le strutture accreditate e censite presenti sul territorio specializzate nel trattamento.  

Nonostante questi progressi, le lacune sono numerose. Uno degli aspetti più problematici è la diffusione “a macchia di leopardo” delle strutture. La maggioranza infatti si trova nelle regioni del Nord Italia, garantendo la presenza di strutture quindi solo in poche aree circoscritte della nazione. Questo comporta un aggravamento delle condizioni di salute nelle persone che non posseggono mezzi economici o una rete di supporto, provenienti da territori scarsamente forniti di tali servizi. Un altro fattore che incide sulle capacità italiane del trattamento è la mancanza di coerenza nella somministrazione di cure. Per esempio, può succedere che pazienti ricevano cure totalmente diverse sul piano teorico e di contenuto come psicoterapie di natura generica o interventi nutrizionali prescrittivi, che colludono nel trattamento e generano discontinuità e disorientamento nei soggetti interessati. Oltre a ciò, una forte aggravante è l’aumento del 40% rispetto al 2019 dell’incidenza dei disordini del comportamento alimentare, portando il numero di soggetti affetti a circa 2.400.000. Una cifra impressionante, in costante crescita, che non può essere sottovalutata. Da questi dati, l’equipe di professionistз impegnatз nel loro trattamento si è impegnata e lo fa tuttora per trovare alternative valide ai classici iter terapeutici. Una proposta interessante è quella riguardante il trattamento domiciliare. 

Il ruolo della famiglia 

Il trattamento domiciliare si è fatto strada tra le varie proposte specialmente nel periodo post pandemico come alternativa efficace ed economica rispetto al ricovero ospedaliero e all’intervento integrato. Esso però non è ancora considerato affidabile nello scenario terapeutico, soprattutto per la scarsa presenza di studi sui suoi benefici. Inoltre, in questa tipologia di trattamento rivestono un ruolo fondamentale i familiari, che secondo le linee guida dell’American Psychology Association del 2012 sono un aspetto cruciale. Idealmente, essi dovrebbero ascoltare i soggetti affetti da DCA, stimolando la loro regolazione emozionale, empatia e flessibilità. Ciò purtroppo non rappresenta una garanzia, infatti, i familiari possono essere un fattore di rischio, favorendo l’esposizione dei soggetti a comportamenti alimentari patologici. Per migliorare le dinamiche familiari e stato sviluppato nel mondo psicologico il “Family based treatment” (Le Grange, 1994), un modello di trattamento che interviene sul contesto familiare deə soggetti affetti da disordini del comportamento alimentare, allo scopo di migliorare le condizioni domiciliari. Esso è attualmente l’unico trattamento che ha mostrato risultati neз adolescenti affetti da anoressia nervosa, con una risposta positiva nel 50% dei casi (Lock et al., 2010). Esso però possiede dei grandi vincoli: il costo è significativo, la meta deз pazienti non risponde al trattamento e gli studi si limitano alla sola anoressia nervosa. 

Tra variabili e risorse 

Nonostante gli ampi margini di miglioramento ancora possibili, non  si può negare gli importanti progressi nella gestione dei disturbi del comportamento alimentare. Ciò è stato possibile grazie al modello di cura basato su due principi: la gestione multidisciplinare e la molteplicità dei contesti di cura. In particolare, l’aspetto psicologico è cruciale perché condiziona la predisposizione personale al trattamento in tutte le sue fasi. Infatti, uno degli aspetti più controversi senza la quale la terapia risulta più difficoltosa è la motivazione. Nel DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), i disordini del comportamento alimentare sono considerati ad alto tasso di drop-out, i fattori che portano a ciò però variano in base alla patologia. Ad esempio, nel caso dell’anoressia nervosa i fattori che diminuiscono la motivazione sono la rigidità nelle pratiche di purificazione e le abbuffate, invece nella bulimia nervosa sono i sintomi autodistruttivi e l’impulsività. Possiamo quindi dedurre che la motivazione sia uno degli aspetti cruciali nel predire l’esito al trattamento. Esistono due tipologie di motivazione: quella autonoma e quella controllata (Sarin, 2015). È stato osservato che la prima tipologia può apportare maggiori benefici nel breve e lungo termine, al contrario la seconda può portare a esiti sfavorevoli. Inoltre un ruolo importante che influenza il livello di motivazione è rivestito dalle emozioni: le persone affette da DCA infatti convivono con la paura, la vergogna, un alto senso di autocritica e una minor autocommiserazione (Kelly et al., 2012). 

Un ulteriore e importante step da fare è associare gli aspetti motivazionali a quelli terapeutici, per poter innalzare il tasso di successo nel trattare i disordini del comportamento alimentare. Secondo Zaitsoff (2015), i quattro costrutti terapeutici che favoriscono il successo nel trattamento sono: la fiducia, l’accordo sugli obiettivi terapeutici, la sicurezza rispetto alla propria capacità di cambiamento e la percezione di un sentimento di inclusione nella presa di decisioni terapeutiche. Il ruolo dellə psicologə in questa tipologia di intervento psicoeducativo è quello di facilitare il cambiamento dov’e necessario, favorire lo sviluppo di comportamenti più salutari, promuovere la consapevolezza dell’individuo rispetto alle proprie abitudini alimentari, stati emotivi, pensieri, al fine di promuovere la motivazione. Per riuscire a fare tutto ciò, garantendo un esito positivo, è necessario intervenire con tempestività promuovendo un percorso di cura su più livelli multidisciplinari, e focalizzarsi sulla creazione di nuove modalità formative, che impartiscono aз professionistз i mezzi migliori per intervenire. 

FONTI

https://www.salute.gov.it/portale/saluteMentale/dettaglioNotizieSaluteMentale.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=6190

https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/id/6778881#:~:text=Il%2058%25%20degli%20 utenti%20ha,eating%20 nel%2012%24%25. 

https://www.stateofmind.it/2017/01/disturbi-alimentari-motivazione-trattamento/

http://www.dallegrave.it/un-modello-di-gestione-clinica-dei-disturbi-dellalimentazione/ 

https://www.psiconline.it/articoli/i-disturbi-alimentari/psicologia-del-comportamento-alimentare/efficacia-dell-intervento-multidisciplinare.html

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