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GRUPPO MISTO DI AUTOCOSCIENZA: UN’ESPERIENZA TORINESE

Il transfemminismo è un movimento che si sviluppa orizzontalmente e che non conosce gerarchie. È comunità, è cura, è presa di consapevolezza: permette a tutte le soggettività di decostruirsi e reinventarsi in un contesto in cui viene dato poco spazio ai nostri desideri, alla nostra rabbia e alle nostre richieste. Spesso e volentieri, soprattutto nel mondo accademico, l’esperienza transfemminista viene rilegata alla mera teoria senza essere poi effettivamente traslata in termini di buone pratiche.

Il femminicidio di Giulia Cecchettin l’11 Novembre 2023 ha mosso coscienze, contribuendo ad una grande partecipazione alla Giornata contro la violenza sulle donne il 25 Novembre, dimostrando una grande voglia di cambiare le cose. Si può però scegliere di non far morire, in quel bellissimo momento di collettività, l’esperienza transfemminista.

In un momento di rabbia condivisa riguardo l’ennesimo femminicidio nel nostro paese – quel genere di rabbia non associabile al fuoco, bensì alla cenere grigia e datata – l’autrice, assieme ad un gruppo di 8 persone, ha deciso di imbarcarsi in una delle esperienze più potenti che la legacy femminista degli anni ’70 ci abbia regalato: l’autocoscienza. 

La Casa delle Donne di Milano definisce la pratica dell’autocoscienza come “politica, autonoma ed inventata dalle donne“. Decidere di fare autocoscienza significa porsi al centro di un percorso centrato su di sé, ma indissolubilmente legato alla relazione con le altre. Un profondo scambio intellettuale ed emotivo si instaura tra donne che condividono e confrontano le proprie esperienze personali, dialogano intorno a temi di grande risonanza pubblica, ma soprattutto sperimentano una modalità di rapporto fondata sull’ascolto e sul rispetto”. Ci siamo dette che avremmo potuto dare un’opportunità a questo tipo di pratica per elaborare il lutto delle molteplici sorelle morte a causa di un sistema malato che non intendeva (e non intende tuttora) assumersi la responsabilità degli abusi che subiamo quotidianamente. 

Abbiamo sentito la necessità di condividere la nostra rabbia, di urlare tuttз insieme.

A partire dal mese di Dicembre 2023, nella città di Torino è nato un piccolo gruppo di amicз che ha deciso di incontrarsi a cadenza settimanale per avere la possibilità di parlare liberamente e senza condizionamenti imposti dall’esterno. Il gruppo in questione è formato perlopiù da donne ma anche uomini facenti parte della comunità LGBTQIA+. In delle occasioni è capitato che partecipasse anche un uomo etero, il cui ingresso è stato assicurato perché vicino alla causa transfemminista. C’è da specificare inoltre che la totalità del gruppo è bianca, cis e contraddistinta da un alto livello di istruzione. 

Data l’inesperienza riguardo questo tipo di pratiche, e il possibile iniziale imbarazzo, si è deciso di comune accordo di strutturare gli incontri in un modo leggermente diverso rispetto a quello tradizionale: avremmo scelto un libro (trasversale o specifico riguardo tematiche transfemministe) e ognunə avrebbe letto un pezzo ad alta voce. A quel punto, se qualcunə avesse avuto qualcosa da dire lo avrebbe fatto in totale libertà e senza pressioni, stimolando discussioni che avrebbero potuto spaziare su molti argomenti, dal diritto all’aborto alle micro-aggressioni. 

Questa modalità di stampo puramente dialettico è stata scelta perché sentiamo di dover prima di tutto riuscire a verbalizzare la realtà che abbiamo attorno e sviscerarla, costruendo un percorso che ci possa permettere, alla fine, di prendere totale consapevolezza e poter agire quotidianamente in un’ottica di distruzione dei costrutti da cui è difficile liberarsi in solitudine. 

I libri per ora analizzati e discussi sono stati “Sputiamo su Hegel e altri scritti” di Carla Lonzi e “Il mito della bellezza” di Naomi Wolf. In queste sessioni di autocoscienza ci siamo assicurate che l’ambiente fosse totalmente indirizzato verso la totale mancanza di giudizio, e la risposta è stata positiva. Le discussioni che sono emerse e la pluralità del gruppo hanno effettivamente permesso non solo uno scambio di opinioni, ma anche la condivisione di esperienze la cui componente discriminante veniva riconosciuta, analizzata e riscoperta da ognunə nel proprio vissuto personale. Da un’analisi della percezione del percorso portato avanti dall’autrice però, tutte le partecipanti del gruppo hanno convenuto sul fatto che, in un ambiente di stampo separatista, si sarebbero sentite immensamente più serene nell’esprimersi “male” ed in maniera più forte, specialmente su tematiche riguardanti il sesso, così da non sentire il disagio di essere percepite come “l’oggetto sessuale” anche solo a livello dialettico.

In generale, se si guarda con attenzione alle risposte date daз partecipanti, c’è una gran distinzione tra uomini e donne: per i primi sono momenti arricchenti, ricorrono spesso e volentieri le questioni dell’ascolto attivo, dell’apprendimento e della libertà di espressione (soprattutto per l’unico uomo etero cis che ha partecipato). Per le seconde invece, il feedback è stato totalmente diverso. Quello che viene maggiormente ricalcato in questo caso infatti è un sentimento di appartenenza e di sorellanza, di piena comprensione, di ritrovata volontà di militanza. La connessione che si è creata tra le partecipanti è stata tale da riuscire a rompere, per quelle due ore la settimana, tutte le sovrastrutture che normalmente ci dividono e ci spezzano. 

Per riassumere ciò che è emerso da questa esperienza, i gruppi misti di autocoscienza possono effettivamente funzionare in un’ottica in cui però l’ascolto da parte degli uomini sia componente fondamentale del comportamento da loro attuato. Nonostante la riuscita positiva di questo “esperimento” portato avanti nella sfera privata e tra amicз con cui ci si sentiva completamente al sicuro anche prima di creare il gruppo di autocoscienza, l’autrice, come tutte le altre donne in questione, hanno comunque manifestato un bisogno impellente di creare uno spazio in cui ci si possa parlare solo tra noi, in cui ci possa essere la possibilità di ritrovare noi stesse ed in cui il discorso possa essere incentrato unicamente sull’identità femminile ed il suo ruolo all’interno di strutture sociali che permettono attualmente solo all’uomo di avere totale centralità.

Di certo questa esperienza non può stabilire un modello universale considerata la poca inclusività rispetto alle soggettività inserite nel gruppo, ma ci auguriamo vivamente che possa essere un inizio per poter riportare il dibattito transfemminista anche all’interno di spazi meno privilegiati del nostro.

FONTI:

https://www.casadonnemilano.it/autocoscienza

Tutte le altre informazioni sono state reperite attraverso un survey a domande aperte sotto forma di Google Doc in Drive dall’autrice.

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