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Rivalutare l’idea di salute mentale partendo dal “Bonus psicologo”

I dati sono sotto gli occhi di tuttз: solo nei primi due giorni dalla sua attivazione sono arrivate all’Inps (Istituto nazionale della previdenza sociale) oltre 175mila domande, ma solo un numero limitato di richiedenti (al massimo l’11%) lo riceverà. Stiamo parlando del “Contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia”, più comunemente noto come “Bonus psicologo”. Venne proposto per la prima volta come manovra nel maggio del 2022, per poi essere presentato a marzo 2024. Nasce originariamente come intervento per sostenere le persone più fragili (in particolar modo soggetti che soffrono di depressione, ansia, stress…) che durante la pandemia Covid-19 hanno vissuto un aggravarsi delle loro condizioni. Il criterio di erogazione del bonus è l’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), e in base a esso l’importo assegnato può essere compreso tra i 500 e i 1500 €

Il “Bonus psicologo” nasce a seguito della Seconda Conferenza Nazionale sulla Salute Mentale, svolta nel luglio 2021 con l’intento di analizzare la situazione nazionale post crisi pandemica e la maggior consapevolezza acquisita sull’importanza della salute mentale. Nella conferenza furono citate le azioni da intraprendere, tra cui una migliore presa in carico deз utenti, la prossimità e la domiciliarità degli interventi. Il Covid-19 ha rappresentato infatti una “sindemia” (Horton, 2020) perché si è sommata a delle condizioni di vulnerabilità già presenti, amplificandone gli effetti. Così facendo, ha impattato sia sui livelli di salute mentale della popolazione, sia sull’indebolimento dei servizi adibiti al suo trattamento e della situazione abitativa, lavorativa e sociale delle persone. Il distanziamento sociale, infatti, ha reso più complesso il ricorso all’assistenza, portando addirittura in alcuni casi all’interruzione dei servizi. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in un’analisi del 2022, ha raccolto i dati sulle conseguenze della pandemia sui servizi nazionali e osservato che:

  • c’è stata una diminuzione della presa in carico deз utenti, una situazione già presente in epoca pre-Covid ma che si è inasprita con la pandemia;
  • una riduzione delle dimissioni dalle strutture residenziali, trasformate da parte utile nel percorso riabilitativo a “residenze a vita”;
  • un aumento degli interventi da remoto.

Queste considerazioni hanno fatto sì che venissero adottate azioni sconnesse dai sistemi di cura preesistenti, tra cui il “Bonus psicologo”. Esso nasce come intervento di natura temporanea, che considera la salute mentale come un bene che può essere acquistato nel libero mercato, al di fuori di ogni presa in carico o collegamento con il servizio pubblico, e senza intervenire sui determinanti sociali della salute. Il bonus nasce quindi come risposta individualizzata alla sofferenza. È  la fusione della cultura psicologica di massa, che vede neə terapeuta unə professionista in grado di “mettere una pezza” nella situazione di sofferenza, e del meccanismo del mercato neoliberale. In realtà il ruolo deə psicoterapeuta è molto di più: è unə professionista in grado di prevenire i problemi e di promuovere le risorse dell’individuo e della comunità. C’e quindi una visione distorta e dominante di questa disciplina, che non favorisce delle tipologie di intervento più creative e innovative, in grado di migliorare il benessere della popolazione.

Un altro vincolo del “Bonus psicologo” riguarda il fatto che esso sia fruibile unicamente per gli interventi psicoterapeutici. Questa tipologia di intervento è caratterizzata da un costo piuttosto elevato, oltre che da possibili limiti soggettivi che i singoli individui possono vivere sulla loro pelle. Per esempio vi sono aree geografiche in cui vi è una maggiore scarsità di psicoterapeutз e di soggetti che non sono in grado di sostenere a lungo un colloquio prettamente orale o che non riescono ad accettare lo stigma legato all'”essere pazienti”. Le ragioni possono essere le più disparate, ma non ciò non vieta l’adozione di misure più inclusive e sostenibili, sia economicamente che culturalmente, per intervenire sulle sofferenze mentali aggravate dalla situazione pandemica. Ancora una volta, la tradizione ha battuto l’innovazione. 

Un aspetto certamente non trascurabile e impossibile da ignorare è la disparità di trattamento e di qualità dell’assistenza tra coloro che soffrono di malattie mentali e chi di altre patologie. Questa discrepanza allontana il momento della cura nelle patologie mentali, incidendo profondamente sulla qualità della vita di queste persone. Basti pensare al fatto che i disturbi di tipo psicotico hanno il loro periodo di insorgenza tra i 14 e i 24 anni, ma l’intervento psichiatrico e psicoterapeutico è posticipato per anni. Inoltre, in questo caso, viene preferito l’intervento deǝ neurologǝ, che viene considerata una figura più rispettabile rispetto allǝ psichiatra. È necessaria quindi una ristrutturazione a 360 gradi della percezione della salute mentale, un bene prezioso che spesso viene ignorato a livello collettivo e sociale. Per comprendere appieno questo costrutto è necessario capire che cosa è la salute mentale e l’evoluzione nel corso del tempo.

Il concetto di salute mentale è entrato formalmente nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani nel 1948, comprendendo tutti gli individui di una popolazione di riferimento, senza dividere tra malati e non. Questo ha fatto sì che la percezione della salute mentale iniziasse a mutare rispetto a quella precedentemente dominante. Nella storia della medicina occidentale la malattia mentale è stata l’ultima ad aggiungersi agli oggetti di studio. La tradizione collega la malattia mentale prima alla stregoneria e alle pratiche religiose, poi all’isolamento durante il Medioevo e infine, nel corso del XVI e XVIII secolo, al controllo da parte di istituti giuridici e sociali  Nel XX secolo si assiste a una vera e propria rivoluzione in ambito psichiatrico: nonostante le influenze passate che spingono a proporre trattamenti di isolamento e internamento, sono numerosi gli stati che cercano di promuovere un cambiamento nel sistema. Tra questi spicca l’Italia, che grazie alla Legge n.80 del 1978 di Basaglia è riuscita a ripensare alla psichiatria e l’istituzione manicomiale unendola alle altre discipline (psicologia, pedagogia e filosofia). Infine, nel XXI secolo, sia l‘Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che l’Unione Europea hanno ribadito l’importanza della salute mentale, concepita come un bene comune alla base del benessere di tuttз lз cittadinз . Alla luce di questo, nel giugno 2023 la Commissione Europea ha organizzato venti misure operative e stanziato 1,23 miliardi di euro al fine di promuovere un approccio globale alla salute mentale, supportando gli Stati membri e lavorando sulle sfide legate a essa attraverso l’internazionalità. 

Gli obiettivi di queste misure sono principalmente tre: 

  • attuare una prevenzione efficace e adeguata;
  • fornire l’accesso alla cura a costi contenuti;
  • favorire il reinserimento sociale.

Questi obiettivi si rivolgono soprattutto alle fasce più deboli della popolazione, in particolar modo lз giovani, che sono statз coloro colpiti maggiormente dalla pandemia dal punto di vista del benessere mentale.

Nonostante queste dichiarazioni, sembra che il diritto alla salute mentale sia trascurato a causa di dinamiche di esclusione sociale nei confronti di coloro che soffrono di disagio mentale. Una comunità non si definisce tale solo per le norme vigenti al suo interno, ma anche per la sensibilità e le regole non scritte che definiscono quali attività siano accettabili e quali no. Come accennato in precedenza, nella cultura occidentale ha sempre dominato l’idea che per gestire la diversità fosse necessaria l’esclusione, e ciò ha incentivato una precisa idea di normalità che ancora oggi influenza il nostro atteggiamento nei confronti altrui. Le persone che rappresentano questa fragilità o debolezza sono state e sono tuttora vittime del processo di separazione. L’inclusione non viene quindi garantita, ma diventa una conquista da ottenere. 

Per concludere, può venire spontaneo chiedersi come noi, singoli individui, possiamo agire per favorire l’inclusione. Ecco alcuni esempi:

  • lavorare sulle pratiche di esclusione messe in atto a vari livelli e contesti, come quelli scolastico, familiare e istituzionale. In particolar modo, lз specialistз della salute mentale dovrebbero analizzare più approfonditamente e criticamente i modelli di normalità entro cui praticano la loro professione; 
  • proporre un cambiamento di approccio nei confronti della salute mentale, che si focalizzi su “cosa può essere migliorato” invece che su “cosa c’è di sbagliato”, al fine di portare a un miglioramento generale della qualità della vita. Ciò può essere realizzato considerando le risorse e i servizi disponibili e che cosa può fare la nostra società per favorire la realizzazione di tali possibilità;
  • riconoscere il diritto di cittadinanza (di inclusione) ai soggetti che soffrono di disturbi mentali, non limitandosi a fornire loro l’accesso alle cure ma riconoscendone anche il loro contributo nella società;
  • costruire reti sociali e riconoscere il ruolo della cittadinanza attiva nella salute mentale, al fine di promuovere un migliore recupero sia per lз singolз che per la collettività.

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