Lo sport ha sempre accompagnato la civiltà umana, educandola all’attività fisica e militare, oltre che competitiva. I suoi valori sono sempre stati riconosciuti come fondamentali, tesi al miglioramento personale e all’inclusione. Tuttavia, lo sport è stato usato anche come strumento utile al potere per legittimarsi agli occhi del popolo. Che si parli degli spettacoli nelle grandi arene romane o delle Olimpiadi dell’Antica Grecia, fino al Novecento e le moderne Olimpiadi al tempo della Guerra Fredda, si è sempre potuto notare la forte connotazione politica. Partecipare o non partecipare ad una competizione ha un valore profondamente politico, soprattutto quando si tratta di sport a livello di nazionali. Discorso leggermente diverso vale per quello professionistico a livello di club, meno “patriottico” e per certi versi più campanilistico, ma non per questo meno importante agli occhi deз propriз tifosз. Tuttavia, non sono solo gli aficionados o lз spettatorз a guardare con attenzione gli eventi sportivi; infatti, esistono falchi pronti ad approfittare della popolarità dei diversi club e deз atletз per ripulire la propria immagine opaca, soprattutto in termini di rispetto dei più basilari diritti umani.
Fra tutti gli sport usati per migliorare la propria reputazione a livello mondiale, il calcio occupa un posto d’onore. Ultimamente, infatti, è stato preso d’assalto dai capitali provenienti dai paesi della penisola arabica, più precisamente dall’Arabia Saudita. Guardando al caso italiano sono anni che tornei di secondaria importanza come la Supercoppa italiana vengono ospitati in suolo medio-orientale. La capitale Riyad, infatti, ospiterà in questi giorni proprio la Supercoppa Italiana 2024, in un formato inedito per la competizione, per venire incontro alle esigenze commerciali dello stato arabo. Questo è solo uno dei tanti modi in cui l’Arabia Saudita fa sportwashing, una pratica su cui urge una riflessione. E le nostre istituzioni sportive che permettono questo scempio sono colpevoli tanto quanto chi lo usa.
Un concetto tanto moderno quanto antico
Ma quindi, che cos’è lo sportwashing? Fondamentalmente è una strategia di soft power utilizzata da governi e stati per ripulire la propria immagine nell’ambito del rispetto dei diritti umani agli occhi della comunità internazionale, attraverso l’utilizzo strumentale di eventi sportivi. È una pratica spesso utilizzata dai paesi autoritari e repressivi dove non vengono rispettati i diritti umani e quelli deз lavoratorз, le pari opportunità e i diritti delle minoranze più in generale, politiche e non.
Seppur il termine sia un neologismo, il concetto che esprime è antico. Infatti, da sempre lo sport è stato usato strumentalmente per legittimarsi agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Basta pensare alle Olimpiadi di Berlino del 1936; quando vennero assegnati i Giochi la Germania era ancora una repubblica democratica, e quando Hitler salì al potere nel 1933 non aveva interesse nell’organizzare. Il suo ministro della Propaganda, Goebbels, capì invece quanto potessero essere importanti per dimostrare la grandezza, la modernità e l’immagine di una nuova Germania forte e unita. Nello stesso periodo la persecuzione contro lз oppositorз politici e contro lз ebreз raggiunse vette inimmaginabili per l’epoca venendo tristemente superate negli anni seguenti. La credibilità internazionale guadagnata grazie alle Olimpiadi berlinesi fu parte del soft power che permise ad Hitler di avere un maggior credito a livello internazionale negli anni successivi. In pochi avevano notato le esclusioni deз atletз di origine ebraiche o la rimozione dei cartelli antisemiti in giro per la capitale tedesca. La Germania era riuscita a dare un’immagine vincente di sé all’estero, superando i movimenti che avevano tentato il boicottaggio prima dei giochi. Quindi, la Germania fece semplicemente sportwashing.
Altro esempio è quello cileno della Coppa Davis del 1976, in cui si scontrarono in finale a Santiago l’Italia e il Cile. Pinochet era già pronto a fregiarsi del titolo per nazionali più importante del tennis e ad usare questo successo per distrarre dalle torture, dagli arresti arbitrari e le mattanze che avvenivano nel paese sudamericano dal colpo di stato del 1973. Vi fu un forte dibattito in Italia sul possibile boicottaggio o meno. Dopo una serie di rimpalli di responsabilità tra organi federali e Governo italiano, alla fine i tennisti italiani decisero di andare, incoraggiati dal clandestino Partito Comunista del Cile, che mai avrebbe voluto che Pinochet avesse potuto fregiarsi di una vittoria così importante. Alla fine, l’Italia vinse ampiamente, riuscendo anche a mandare un messaggio politico: i tennisti infatti indossarono magliette rosse, simbolo delle donne cilene che erano solite sventolare i propri fazzoletti rossi in segno di protesta contro il governo, colpevole della scomparsa deз loro figliз e mariti (i tristemente famosi “desaparecidos”).
Oggigiorno le situazioni non sono molto diverse. Paesi che non rispettano i più basilari diritti umani cercano di farsi pubblicità tramite testimonial importanti o eventi sportivi internazionali. Le innumerevoli “vetrine” che lo sport ha offerto a paesi che cercano di ripulire la propria immagine hanno raggiunto vette inimmaginabili fino a pochi decenni fa. Se prima i diversi paesi si sono mossi con sport meno popolari, ma con una audience planetaria come la MotoGP e la Formula 1, negli ultimi anni si sono concentrati anche su altre attività, come la MMA e soprattutto il calcio. L’esempio massimo è stata l’assegnazione dei mondiali al Qatar. Il piccolo staterello sul golfo Persico è stato al centro di uno scandalo internazionale di corruzione in cui venne implicato l’”Onu del calcio”, ossia la FIFA. Il Qatar riuscì nel 2011 ad avere la candidatura più ambita da qualsiasi paese al mondo: il mondiale di calcio. Naturalmente fra lo sconcerto di tuttз lз addettз ai lavori, visto che la nazione contava pochissimi abitanti, una tradizione calcistica (ma più in generale sportiva) praticamente nulla e delle temperature a dir poco proibitive per giocare un mondiale estivo. Infatti, si è giocato fra novembre e dicembre. Nel 2022 prima del mondiale è uscita una serie-documentario su Netflix (“FIFA: tutte le rivelazioni”) che consiglio caldamente per chi volesse approfondire la corruzione endemica e la noncuranza delle istituzioni calcistiche globali verso temi che millantano di avere a cuore.
Tuttavia, la globalizzazione sportiva ha inciso anche a livello di club. Le monarchie del golfo si sono prontamente mosse, intrigando a suon di petrodollari (e sportwashing) le federazioni sportive del Vecchio Continente, sempre più interessate ad aumentare gli introiti anche a discapito dei loro sostenitori. La Serie A di calcio non ha fatto eccezione. La massima serie dello sport italiano più seguito ha già giocato la Supercoppa Italiana (trofeo in cui si scontrano la vincente del Campionato e della Coppa Italia) nel 2014 e nel 2016 a Doha, nel “vicino” Qatar (a volte ritornano!). Già precedentemente si era giocato in Cina e un anno persino in Libia. La Federazione, quindi, ha colto nuovamente la palla al balzo quando si è palesata un’altra succosa offerta. Dal 2018 la FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) si è accordata con l’Arabia Saudita per un format diverso, una buona cifra e un po’ di sportwashing. Ed eccoci arrivati alla Supercoppa Italiana del 2024 che si è svoltasi in questi giorni.
Immagine: Foto di Abed Ismail su Unsplash (pubblicato il 7 ottobre 2020) https://unsplash.com/it/foto/ruota-panoramica-bianca-e-nera-sotto-il-cielo-blu-durante-il-giorno-ALbQK8Mt-TA.
Perché lo sportwashing può avere successo e normalizzare i paesi che lo praticano?
Può arrivare una spinta reputazionale positiva dal patrocinio di grandi eventi sportivi in stati autoritari e violenti? In realtà vi sono dei pareri discordanti. Da un lato potrebbe avere successo, ma potrebbe anche mettere in luce le molte macchie, le ipocrisie, l’arretratezza di certi paesi.
Ma perché lo sportwashing potrebbe funzionare? La platea planetaria del calcio europeo può offrire una forte popolarità, collegando i successi sportivi dei team al loro nome e al loro paese. Può esserne un esempio la vittoria della Champions League da parte del Manchester City, prima squadra con una proprietà araba a vincere il più importante trofeo continentale di calcio. Nel giro di una decina d’anni essa è passata dall’essere la seconda squadra della città (Manchester, per l’appunto) a diventare una potenza del calcio mondiale. Ciò sarà indissolubilmente legato alla proprietà emiratina (il proprietario è figlio dell’emiro di Abu Dhabi), che infatti ha sperimentato la stessa formula in giro per il mondo, compresa l’Italia, dove ha acquistato il Palermo F.C. Sono solo investimenti? Sicuramente anche il ritorno economico risulterà importante. In realtà però è la questione d’immagine che interessa maggiormente e che porta i fondi sovrani della Penisola Arabica ad acquistare in giro per il mondo competizioni, eventi sportivi e squadre. Il successo dell’operazione viene dimostrato anche dal fatto che i testimonial per quei paesi (anche politici, e qua in Italia lo sappiamo bene) se prima non volevano avere niente a che fare con queste nazioni, oggi collaborano amabilmente.
Dal lato deз tifosз, la normalizzazione passa dal più classico mantra per cui “lo sport non deve mescolarsi con la politica”. In realtà non c’è niente di più falso, visto che lo sport è sempre stato politica, così come tutto è politica. Le stesse “curve” calcistiche hanno sempre avuto una lunga tradizione politica e gli stessi valori di alcuni club sono decisamente politici, a partire dalla scelta del proprio nome, i colori che si indossano, le cause extra-campo che decidono di sposare. Tuttavia, è indubbio però che lo sportwashing possa avere successo in una società sempre meno politicizzata e consapevole sulle tentate manipolazioni mediatiche che questi paesi tentano di vendere in Occidente.
È anche vero che molto spesso le ipocrisie latenti finiscono per essere troppo grandi per non essere viste agli occhi di tuttз. È notizia di pochi giorni fa che la Supercoppa di calcio turca da giocare in Arabia Saudita è stata rinviata a data da destinarsi perché le autorità locali hanno imposto che non venisse eseguito l’inno nazionale e che venissero rimossi i riferimenti dei tifosi ad Atatürk, il padre spirituale ed eroe nazionale turco. Il Galatasaray e il Fenerbahçe si sono quindi rifiutati di scendere in campo. Molto spesso i risultati dello sportwashing si sono scontrati con la cruda realtà, regalando immagini paradossali e fuori da ogni logica, come durante la gara di Formula 1 in Arabia Saudita del 2022 a Gedda, dove un impianto vicino al circuito venne colpito da un missile lanciato dagli Houthi. La questione ha riacceso i riflettori sul conflitto yemenita, dove l’Arabia Saudita ha un ruolo primario nel bombardamento dei civili locali. In Italia il paradosso evidenziato è stato quello di accendere il dibattito nei confronti dei diritti delle donne nei paesi islamici. A cosa dovrebbe servire mostrarsi sensibili alla causa in Italia, se si normalizzano paesi dove la violenza di genere è istituzionalizzata nelle pratiche e giuridicamente, andando a giocare le nostre competizioni lì.
L’identità valoriale che molte competizioni sportive affermano di avere viene puntualmente disattesa dalle loro azioni, che screditano cause legittime normalizzando paesi che fondamentalmente ci buttano soldi addosso per pagare il nostro silenzio su temi da loro considerati scomodi.
Ma questo avviene anche con il ruolo decisivo degli organi sportivi europei e mondiali che non si pongono questi problemi di fronte alle generose offerte economiche provenienti dagli stati in questione. Valori “un tanto al chilo”, in svendita perché l’unico obiettivo dello sport è il profitto e lo spettacolo. Ma siamo sicuri che lo sport sia solo questo?
Immagine: Foto di Vienna Reyes su Unsplash (pubblicata il 3 aprile 2018) https://unsplash.com/it/foto/campo-da-calcetto-qCrKTET_09o.
La strategia saudita
I piani di sportwashing e miglioramento della reputazione dei paesi del Golfo sono strutturati e mirano al lungo periodo. La strategia implementata dai diversi paesi del Golfo (Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita su tutti) prevede l’uso dello sport per distogliere l’attenzione dai problemi interni in temi di diritti umani. La Supercoppa Italiana in Arabia Saudita rientra proprio fra queste volontà. Figlia di un accordo pluriennale fra la Lega Calcio e lo stato saudita risalente al 2018 e già aggiornato nel 2021. Ma risulta fondamentale capire la strategia sportiva complessiva, che vede anche la creazione di un campionato locale di alto livello, con stelle e giocatori provenienti dai migliori campionati europei.
Chiariamo la situazione: non ci sarebbe nulla di male se lo sport non venisse usato per secondi fini. Tutte le nazioni che vogliono ritagliarsi un posto di rilievo nel globo sportivo devono pur iniziare strategicamente da qualche parte. Ma gli attuali investimenti nel calcio servono per candidare il paese al Mondiale di calcio maschile del 2034, che quasi al 100% andrà proprio ai sauditi; ma soprattutto (ipocrisia delle ipocrisie) per il mondiale di calcio femminile del 2035! L’ipocrisia di affidare un evento planetario ad una nazione in cui fino a pochi anni fa le donne rischiavano la vita solo se osavano praticare calcio, è fondamentalmente assurda. Sicuramente è vero che la situazione è leggermente migliorata rispetto agli anni precedenti, anche perché si partiva da 0. Ma questa non può essere una motivazione valida per permettere l’uso strumentale dello sport per aumentare la credibilità a livello internazionale. Non basta organizzare qualche evento per far dimenticare tutto.
Oltre alla causa dei diritti delle donne, non bisogna dimenticare la facilità con cui viene usata la pena di morte in Arabia Saudita e le incarcerazioni arbitrarie, inaccettabili per qualsiasi paese al mondo. Amnesty International ha evidenziato sia le moltissime esecuzioni che lo stato saudita continua ad usare, sia la pratica di una schiavitù legalizzata come quella della kafala. Lз lavoratorз migranti infatti vivono in una situazione di pericolo costante, alla mercé deз datori di lavoro che possiedono i loro passaporti. È la situazione in cui si sono ritrovati moltissimз lavoratorз migranti per la costruzione degli stadi per il mondiale di calcio 2022 in Qatar, ma è una condizione in cui centinaia di migliaia di lavoratorз si ritrovano loro malgrado. E molto spesso perdono la vita, poiché mancano le più basilari norme di sicurezza. Quando si avvalla una competizione in questi luoghi non si può non tener conto anche di questo.
Ritornando alle strategie, le cifre investite per nascondere la polvere sotto il tappeto sono spaventose. La spesa totale per attività simili dell’Arabia Saudita ammonta alla bellezza di 6,3 miliardi di dollari, un ammontare immane, grande quanto il PIL di un piccolo stato. Quindi, è chiaro quanto lo stato arabo punti moltissimo su questi progetti. E lo farà in futuro dove cercherà di slegare il proprio futuro dal settore petrolifero e punterà sul turismo, vendendo all’estero l’immagine di un paese moderno, all’avanguardia e aperto agli occidentali (seppur repressivo, autoritario e violento verso lз propriз cittadinз). La stima della spesa rimane comunque al ribasso, poiché molto spesso il Regno usa dei giri opachi che permettono il finanziamento di progetti ed eventi con fondi di dubbia provenienza.
Resta comunque una strategia che dovremmo combattere, cercando di smontare le fondamenta sulla quale si basa, per almeno due questioni con la quale dobbiamo fare i conti. Per evitare di collaborare a queste pratiche moralmente inaccettabili.
Foto di Aidan Bartos su Unsplash (pubblicata il 17 luglio 2017) https://unsplash.com/it/foto/banconota-da-1-dollaro-usa-v9rZ3Yz6fSg.
Perché è sbagliato? Una questione di etica e coerenza
Per quanto riguarda il caso specifico della Supercoppa Italiana, la scomodità logistica per lз verз appassionatз è sicuramente importante ma non centrale nella questione qui dibattuta. Ciò che non è accettabile ad un livello di astrazione superiore è l’incoerenza di federazioni e movimenti sportivi. Le molte battaglie che vengono combattute in Occidente per i diritti umani e le pari opportunità vengono gettate alle ortiche in maniera estremamente facile, decidendo di stare al gioco di questi paesi che cercano attraverso lo sport di ripulire la propria immagine. Ciò avviene dietro grossi compensi economici, legali e talvolta illegali (molti gli esempi di corruzione internazionale di Arabia Saudita e Qatar).
Da anni le istituzioni sportive hanno abbracciato cause nobili per cercare di cambiare la società in meglio attraverso i valori dello sport. Ma dove risiede la coerenza delle istituzioni sportive nell’accettare queste situazioni? I tanto decantati ideali che si vantano di difendere con le campagne pubblicitarie e di marketing sono solo parole vuote? O valgono solo per i mercati dove non rischiano di risultare “scomodi”? Dovremmo ricordarci che lo sport è anche una questione di valori, di etica. Ma i valori non dovrebbero essere a targhe alterne. Detto ciò, le federazioni sportive fanno orecchie da mercante e si prestano volentieri a questo uso strumentale dello sport. Anche perché, come detto prima, paga molto bene.
Che cosa possiamo fare noi?
Se il problema è chiaro, le strade da intraprendere per evitare questa pratica sono più difficili da individuare, già a partire dal più classico dei boicottaggi. Infatti, questa potrebbe essere una misura funzionante, ma non si può scaricare sulla dimensione individuale di unə appassionatə (o di unə atleta) le scelte politiche ed economiche che vengono fatte da federazioni collaborazioniste. Tutto per una mera questione di profitto. Lo sportwashing approfitta della natura passionale deə tifosə, dei suoi sentimenti viscerali nei confronti della propria squadra del cuore per ricavarne credibilità e un’immagine ripulita agli occhi del mondo. Allo stesso modo usa le legittime ambizioni sportive deз atletз per migliorare la propria reputazione sfruttandolз. I movimenti di boicottaggio inoltre non hanno sempre funzionato storicamente perché necessitano di coordinamento e volontà di collaborazione reciproca.
Per questo motivo la soluzione dovrebbe essere una risposta globale e locale allo stesso tempo, con dei Comitati Etici Indipendenti che possano valutare le candidature di paesi violenti, autoritari, repressivi ed evitare queste situazioni. Naturalmente servirebbero degli standard coerenti e dei parametri valutabili ed il più possibile oggettivi. Questi comitati dovrebbero essere formati da espertз in materia di diritti umani e dovrebbero consigliare le istituzioni sportive. La loro creazione dovrebbe essere auspicata dai ministeri dello sport di tutti i paesi, in modo da fare pressione sulle istituzioni sportive.
Un’altra soluzione che parte dal basso potrebbe essere un maggior coinvolgimento delle persone che dopo lз atletз contano di più nel mondo dello sport, ossia lз tifosз, soprattutto per quel che riguarda le competizioni di club. Il coinvolgimento deз appassionatз potrebbe aiutare a prendere decisioni meno impopolari, come successo in Germania, dove le squadre di calcio, per statuto, sono obbligate a sentire il parere deз tifosз sulle decisioni più importanti. Infatti, il modello tedesco coinvolge direttamente, facendo partecipare attivamente alle decisioni del club. Non è detto che possa vincere sempre la linea del “no allo sportwashing”, ma il coinvolgimento deз tifosз spingerebbe ad una maggior consapevolezza sul tema. Una maggior consapevolezza sull’argomento, oltre a scoraggiare gli eventi lontani dalla propria nazione, farebbe provare aə tifosə la sensazione di essere usatə come pedine. E con una situazione così, difficilmente si presterebbe al gioco.
È chiaro quindi che lo sport sia una questione importante, e che debba mantenere una sua credibilità, identità e che possa essere pregno di sentimento. È giusto allontanare chi non condivide questi elementi base e lo sfrutta esclusivamente per i propri fini. Quindi, giù le mani dallo sport!
Foto di Waldemar su Unsplash (pubblicata il 28 febbraio 2019) https://unsplash.com/it/foto/campo-da-calcetto-sgZ5uGdEJHA.
FONTI:
https://www.theguardian.com/world/2023/jul/26/revealed-saudi-arabia-6bn-spend-on-sportswashing.
https://www.amnesty.it/ripulirsi-la-coscienza-con-un-pallone-lo-sportwashing-degli-stati-del-golfo/.
https://www.amnesty.it/arabia-saudita-migranti-sfruttati-e-truffati-nei-magazzini-amazon/.
https://www.ilpost.it/2018/01/31/arresti-corruzione-arabia-saudita/.
https://sport.sky.it/calcio/2023/12/29/supercoppa-turchia-arabia-saudita-annullata.
https://www.4clegal.com/vivi-lacademy/sportwashing-neologismo-fallimento.
https://www.rivistaundici.com/2024/01/02/supercoppa-italiana-francia-arabia-saudita/.