Il rapporto tra psicologia e femminismo è da sempre travagliato e complesso.
Fin dalle origini del movimento femminista infatti, i suoi membr3 hanno percepito una scarsa considerazione e stigmatizzazione da parte della psicologia, in particolar modo della corrente psicoanalitica.
In quegli anni, infatti, la corrente psicoanalitica era in auge e l’influenza del suo patriarca Sigmund Freud era ancora molto forte.
Nonostante la sua grande influenza nella storia della psicologia, egli ha sempre avuto un limite nella comprensione delle donne e come da lui stesso dichiarato: “La grande domanda, alla quale nemmeno io ho saputo rispondere malgrado trent’anni di lunghe ricerche, è questa: che cosa vuole la donna?”
Questo limite ha contribuito a creare un sempre maggior attrito tra le due fazioni: da una parte la prima psicologia psicoanalitica legata a concetti quali l’invidia del pene e il complesso edipico, e dall’altra il femminismo della prima ondata, che ha posto le basi per l’emancipazione sociale femminile.
LA VISIONE PSICOANALITICA
Il patriarca della scuola psicoanalitica Sigmund Freud ha sempre considerato lo studio della donna come una “materia oscura”.
Egli infatti con la teoria dell’invidia del pene ha sottolineato ulteriormente il ruolo della donna come entità riproduttiva fin dalla prima infanzia.
Tra i 3 e i 5 anni, durante la fase fallica dello sviluppo psicosessuale, le bambine si allontanano dalle loro madri per dedicare il loro affetto e interesse ai papà, e ciò si verifica nel momento in cui ella si rende conto di non avere un pene.
Queste teorie biologiche e psicologiche dell’inferiorità della donna, con la conseguente legittimazione della subordinazione al maschio, sono state ridiscusse coi concetti di Anima e Animus teorizzati da Carl Gustav Jung.
Secondo lui, ogni persona possiede al suo interno una controparte femminile e maschile, e ciò si riflette a livello sia biologico che psicologico.
La prima studiosa che però ha riconosciuto ufficialmente l’importanza della psicanalisi nel contesto femminista è stata Juliet Mitchel, la quale sosteneva che la visione freudiana non fosse a difesa della società patriarcale ma che ne fosse la descrizione. Ciò ha portato alla nascita, a parer suo, del femminismo psicoanalitico contemporaneo.
Anche a causa di questi nuovi punti di vista, lз primз neofemministз hanno avuto fin da subito una duplice visione della psicoanalisi.
Se da un lato l’hanno guardata in maniera aspra e come espressione del sistema patriarcale, dall’altro ne viene riconosciuta la capacità di promuovere l’identità femminile in contrapposizione agli stereotipi ideologici, caratterizzati dalla subordinazione della donna all’uomo e l’esclusione della prima dal mondo decisionale.
Le reazioni femministe hanno contribuito in modo rilevante a rivedere gli studi psicologici e psicoanalitici, accusando la psicologia di aver trascurato lo studio delle donne e del genere, oltre che promuovere una rappresentazione distorta nelle ricerche e teorie (Eagly, 2012).
LE RAGIONI
Fin dagli anni ’60 si è visto un vero e proprio incremento della ricerca sugli studi di genere e femminismo, specialmente nella fine degli anni ‘70, cioè intorno al periodo di massimo attivismo femminista di seconda ondata.
Questo cambiamento si è verificato perché la branca psicologica focalizzata sulle donne e il genere è stata applicata a diverse aree, ma limitate a quelle riguardanti lo sviluppo, il comportamento sociale e la personalità individuale, in cui si tendeva e si tende ancora oggi ad avere ancora una visione stereotipata.
Ad esempio, infatti, la letteratura accademica descrive le madri come persone dotate di proprietà speciali, più strettamente legate al ruolo di “mamma” rispetto alla controparte paterna e il ruolo di “papà”. Un altro fattore è che la ricerca in questo campo tende a rappresentare in maniera sproporzionata solamente lз membri dei paesi occidentali, industrializzati, ricchi e democratici.
Questa mancanza di intersezionalità è uno dei fattori maggiormente criticati da parte deз femministз contemporaneз della terza ondata.
Le ragioni alla base di questi fenomeni sono molteplici e influenzano direttamente le prospettive e le opportunità di vita delle donne:
- Tradizioni, credenze e norme storiche e culturali, che spesso hanno rafforzato i ruoli di genere fissi nel corso dei secoli e delle società;
- Il Determinismo biologico, che presuppone che alcuni tratti siano determinati dalla biologia piuttosto che influenzati da fattori sociali e ambientali. Ad esempio, il bisogno biologico degli uomini di cercare più partner sessuali è opposto a quello delle donne, che dovrebbero cercarne solo uno.
- Le rappresentazioni mediatiche delle donne, legate a modi stereotipati, il che può rafforzare ulteriormente le nozioni essenzialiste su cosa significhi essere una donna.
- Le dinamiche di potere. Ad esempio, se le donne vengono rappresentate come innatamente diverse o inferiori agli uomini, alcuni individui e istituzioni possono mantenere o rafforzare le strutture patriarcali, e di conseguenza la loro superiorità.
- L’eccessiva semplificazione della complessità, che può portare a supposizioni imprecise e dannose sugli individui basate sul genere, ad esempio presumendo il loro orientamento sessuale o l’appartenenza al sesso biologico.
Per riassumere brevemente, l’organismo di ricerca della psicologia riflette i cambiamenti avvenuti nella condizione delle donne durante la seconda metà del XX secolo.
Lз femministз sostengono che il fatto che la psicologia abbia ignorato lo studio delle donne e del genere ha prodotto una conoscenza sociale caratterizzata dall’assenza delle donne e dal sessismo.
Sostengono inoltre che questo pregiudizio trascura il contesto sociale delle donne a favore della loro natura intrinseca, basata sull’idea che un deficit di potere e status sociale sia inevitabile.
Autore: Marta Finazzi
Revisione: Manuela Riveccio
Grafica: Federica Marino
Fonti
Eagly, A. H., Eaton, A., Rose, S. M., Riger, S., & McHugh, M. C. (2012). Feminism and psychology: analysis of a half-century of research on women and gender. American Psychologist, 67(3), 211.
Testoni I. (2023). Il terzo sesso: perché Dio non è maschio e altre questioni di genere. Il Saggiatore, Milano.