Articolo di Francesca Laurenzano e Stella Muscatello
“Che rabbia!” è un best seller dell’editoria dell’infanzia scritto dall’illustratrice Mireille d’Allancé e pubblicato nel 2000.
Il libro racconta la storia di Roberto, il quale, una volta tornato a casa, viene spedito immediatamente in camera dal padre perché, sbattendo la porta dietro di lui, si era rifiutato di mangiare gli spinaci.
Nel libro lǝ genitore non compare mai e lз due protagonisti del racconto sono Roberto e una massa rossa gigante che non ha un nome definito.
I motivi del comportamento di Roberto non sono esplicitati; l’attenzione è rivolta al rapporto del bambino con la rabbia e all’evidente negligenza deǝ genitore che non è in grado di dare sostegno a Roberto in questa fase delicata.
Entrato in camera, il protagonista viene assalito da una sensazione irruenta che sente salire fino alla testa: una macchia rossa colora il suo corpo fino a uscire fuori dalla bocca come un urlo. Il flusso di colore rosso fiammeggiante prende la forma di un personaggio caricaturale chiamato “Cosa” che, man mano che prende vita, distrugge tutto ciò che Roberto ha di più caro nella propria cameretta.
(Fig.1 Che rabbia!)
Con la stanza distrutta, Roberto tenta di riappropriarsi del suo ruolo di protagonista. È curioso notare come più Roberto si prende cura degli oggetti distrutti dalla “Cosa”, più questo personaggio così violento si riduce pian piano a un essere molto piccolo, fino a trovarsi chiuso in una scatola blu (almeno per il momento).
In questa figura è interessante notare il dialogo tra lз due protagonisti: Roberto guarda negli occhi la sua rabbia e le permette di esistere, di essere vista e riconosciuta, fino a spegnerla completamente, rendendola innocua.
Il percorso di Roberto è stato funzionale: il bambino ha riconosciuto e dato dignità a un emozione che, seppur irruenta, è funzionale alla sopravvivenza, rischiando peraltro di dover buttare via tutti i suoi giocattoli. In secondo luogo, Roberto ha deciso di reagire e fermare la rabbia prendendosi cura di ciò che aveva volutamente distrutto per poi trasformarla in un essere piccolo e innocuo. Roberto ha quindi dato alla rabbia un nuovo contenitore.
Il gesto di mettere la rabbia nella scatola non è un segno di soffocamento o evitamento, bensì di contenimento.
Roberto è stato bravo a fare tutto questo da solo, ma quando si tratta di bambinз questo processo di riconoscimento, accettazione e contenimento dovrebbe essere accompagnato dalla figura di unǝ adultǝ, che sia genitore, insegnante, educatorǝ e via dicendo.
Di cosa è fatta la rabbia?
Ogni emozione è organizzata come una matrioska russa: all’esterno c’è l’emozione primaria, subito visibile perché dirompente (tristezza-pianto/gioia-risata ecc); in un contenitore più piccolo c’è lo “stato d’animo” (tristezza-depresso/gioia-tranquillo) e, in quello più piccolo ancora, il sentimento (tristezza-vuoto/gioia-amorevole). Per quanto riguarda la rabbia, può provenire da una serie di stati d’animo come l’essere arrabbiato, ferito, detestabile; che corrispondono a una serie di sentimenti quali furioso, imbarazzato, violato. La rabbia è un grosso contenitore di molti sentimenti, di cui il risultato visibile è solo una piccola parte (per quanto a volte possa sembrare spaventoso). I sentimenti e gli stati d’animo provenienti dalla rabbia spesso non sono riconoscibili, perché l’emozione è come un velo rosso che ci distoglie lo sguardo dall’interno verso l’esterno.
Ciò che bisogna fare è rimanere con l’occhio rivolto all’interno.
Che significa contenere le emozioni?
Per prima cosa, per contenere un’emozione, bisogna che venga fuori in qualche modo. Più che altro, bisogna che venga riconosciuta con la stessa dignità e rispetto con cui viene riconosciuta la “gioia”.
In pratica, uno degli strumenti da considerare riguardo questo aspetto è di “stare” quando si avverte un’emozione così dirompente come la rabbia; certamente bisogna “stare” in tutte le emozioni e per qualcunǝ “stare” nella rabbia è più complicato che per altrɜ.
Ma che significa? E come si fa?
Esiste un modo abbastanza utile che ci permette di assaporare l’emozione che in quel momento attraversa il Sé, ossia non fare assolutamente niente.
Sembra semplice, ma non lo è. Quando si avverte un’emozione più o meno intensa, la prima cosa che viene da fare è evitare, magari uscendo di casa con la speranza che con una “corsetta” possa passare; si evita pulendo ossessivamente la casa con la speranza di scaricarsi, oppure si evita adottando dei comportamenti dannosi per la salute e per la mente. Si evita sabotando pensieri e andando alla ricerca di situazioni che impongono di non sentire o non pensare. Tutto ciò è molto dannoso, perché l’emozione non ha via d’uscita, non le viene dato il giusto riconoscimento. Sicuramente si può spegnere, assecondando l’istinto del momento, ma ritornerà con gli interessi proprio quando non ci si aspetta che possa tornare.
Provare a restare fermi e respirare dentro l’emozione è molto utile. Alle volte un bel pianto se si parla di tristezza o un urlo se si parla di rabbia aiuta a diluire dall’interno verso l’esterno.
Un pratica che consiglio sempre quando si parla di stare nell’emozione è la meditazione.
Se siete interessatɜ ad approfondire il tema e non li avete ancora letti, vi posto due articoli che si dilungano maggiormente sulla tematiche dello “stare” nell’emozione.
7 modi per prendersi cura di sè
Ad ogni modo, una volta interiorizzato il concetto di “stare”, il passo successivo è contenere.
In alcuni casi, i due passaggi potrebbero essere anche sinonimi, poichè “dare contenimento a qualcosa” significa dare dei confini che non sono delle gabbie, bensì dei morbidi cuscinetti dove poter riposare, dei posti interiori in cui le emozioni vengono accolte e coccolate.
Come si impara a stare e contenere?
Principalmente lɜ bambinɜ interiorizzano modi di comportamento per imitazione: molto più che attraverso le parole, apprendono osservando il mondo deз adulti. Di certo, l’esempio del genitore di Roberto non è dei migliori, in quanto sta implicitamente dicendo al bambino che la sua rabbia non è tollerabile né accettabile. Fortunatamente, lǝ protagonista è sveglio e con un’intelligenza emotiva non indifferente per la sua età.
L’invito per tuttз lз adultз che si trovano ad affrontare situazioni come questa è di riconoscere gli stati d’animo deз bambinз e aiutarlз nel riconoscere la propria rabbia come una condizione passeggera, dignitosa e funzionale come tutte le altre emozioni, spiegando loro che forse c’è qualcosa che non sta andando per il verso giusto e aiutandolɜ a scoprire cosa e come poter trovare una buona risoluzione.
Perchè la rabbia è nostra amica?
Nella condizione in cui ci si permette di dare forma alla rabbia, riconoscerla, accoglierla, starci e contenerla, essa diventa un alleato fondamentale, perché aiuta a riconoscere uno stato d’animo di frustrazione. È un segnale d’allarme che ci dice che qualcosa dentro è in stato di disagio e squilibrio. Forse i bisogni reali non sono stati soddisfatti, forse quello che si fa non dà soddisfazione reale o forse un evento ci ha graffiato nel profondo del nostro animo. Solo in questo modo si capisce che è ora di ascoltarsi davvero.
Come farsi amica la rabbia?
Alcuni suggerimenti per cogliere dalla rabbia la sua forza costruttiva e non quella distruttiva:
- Distinguere la causa dallo stimolo. Spesso ci arrabbiamo non per un evento o una parola rivolta che ci è stata detta, ma per il nostro bisogno di riconoscimento o di appartenenza non soddisfatto. Siamo noi responsabili dei nostri stati d’animo e sentimenti, mai lз altrз.
- La causa della rabbia va cercata non neз altrз che ci hanno ferito, ma in noi stessз e nel proprio modo di pensare e interpretare gli eventi e i fatti oggettivi.
- Riconoscere i propri bisogni aiuta a far pace con sé stessз. Ci aiuta a placare il nostro animo.
- Leggere la rabbia quindi come un bisogno non soddisfatto la mette a nudo e la spoglia della sua mostruosità.
- Ricordarsi di respirare profondamente e di placare la mente sospendendo il giudizio per qualche istante. Gli esercizi di mindfulness aiutano e sostengono questo aspetto. Dedicarsi 5 minuti al giorno alla meditazione, soprattutto nei momenti di bisogno, è veramente importante per sé stessз.
Questi e altri suggerimenti li trovate in
“Le parole sono finestre (oppure muri)” di M. Rosenberg.
“Osho. Corso di meditazione. Risvegliare la consapevolezza in 21 giorni”
Revisione: Stefano Letizia e Guia Bonariva