Ciao Julia! Raccontaci come sei arrivata alla scelta di partorire per altrз?
Ho sperimentato io stessa l’infertilità per molti anni e, quando finalmente sono diventata madre, sono stata certa di voler aiutare un’altra donna.
Ho sempre voluto essere una mamma, e con mio marito abbiamo provato da subito ad avere dei figli; ma l’unica cosa che arrivava puntuale, ogni mese, erano le mestruazioni. E poi le visite mediche: analisi ed ecografie non davano nessuna risposta, sulla carta era tutto a posto.
Così ben presto ho dovuto fare i conti con quello che avevo sempre saputo solo in teoria: non diventi genitore per forza soltanto dopo nove mesi di gravidanza. Così abbiamo adottato Carrie. Poteva essere questo l’unico nostro lieto fine, e invece poco dopo ho scoperto di essere incinta: non potevo crederci, ero sbalordita. Dopo qualche mese avrei partorito Sophie, senza alcuna difficoltà.
Ma un preciso momento del percorso medico che aveva preceduto l’adozione e poi la gravidanza, aveva lasciato in me qualcosa di inaspettato. Tra i medici che ci avevano seguito, uno ci aveva parlato di un’ulteriore possibilità: creare i nostri embrioni in laboratorio, sì, ma per trasferirli in un utero che non fosse il mio. Parlava della Gestazione Per Altri (GPA, nda): pratica legale, in forma solidale e gratuita, da più di vent’anni in Canada. Io però non la conoscevo, né ho potuto sceglierla per me, perché è arrivata Carrie e poi Sophie. Ma la grandezza di una scelta come quella del parto per altri da quel momento non mi ha mai abbandonata, ci pensavo spesso mentre aspettavo Sophie: ormai ero convinta che, se davvero fossi riuscita a dare mia figlia alla luce, lo avrei fatto anche per qualcun altro.
Com’era il rapporto che avevi con le famiglie richiedenti la GPA? Come si è sviluppato durante la gravidanza?
Ho conosciuto le famiglie che poi ho deciso di aiutare attraverso una clinica di Toronto: le ho scelte sulla base del fatto che si trattasse di donne che avevano lottato, a causa di motivi di salute, per costruire la loro famiglia, proprio come me e mio marito. Volevo aiutare qualcuno che aveva un vissuto simile al mio.
Oggi i nostri bambini hanno un rapporto che potrebbe essere benissimo paragonato a quello tra cugini: prima della pandemia abbiamo festeggiato compleanni e vissuto parecchi momenti insieme.
In generale ho un bel rapporto con le famiglie che aiuto a crescere: l’esperienza di maternità solidale ha significato la nascita della loro famiglia ma anche un’estensione della mia (A questo punto Julia mi mostra diverse fotografie: lei con i bimbi appena partoriti, e poi questi che, da grandi, giocano insieme ai suoi figli, nda)!
Ti spaventava il percorso medico che stavi per intraprendere? Hai avuto più difficoltà rispetto alle gravidanze vissute per te stessa?
Le mie gravidanze per altri sono state le migliori!!! Quelle dei miei figli…terribili (Julia ride, nda)!
E i farmaci da assumere certo non mi rendevano entusiasta, ma sapevo che facevano parte della procedura ed ero felice di fare tutto ciò che era necessario: questa era la mia priorità.
Una delle prime domande che molte persone fanno, a proposito della GPA, è questa: “E se poi la gestante vuole tenere il bambino?”. Tu come rispondi?
E cosa ha significato portare quelə bambinə nove mesi dentro di te sapendo che sarebbe cresciutə altrove?
Non ho mai considerato miei i figli che ho partorito per altri, e il desiderio di tenerli è inesistente; non è questo il punto di partenza di una Maternità Solidale. Ho fatto questa scelta, tre volte, per aiutare altre famiglie in difficoltà: ciò che mi rendeva felice, quindi, era pensare al momento in cui avrei finalmente visto quei bambini tra le braccia dei loro genitori.
Perciò ho adorato ogni minuto di condivisione del mio corpo con i miei “figli surrogati” (lei li chiama così: l’aggettivo “surrogate”, che Julia abbrevia in “surro”, è molto usato nei paesi anglosassoni in questo contesto e non ha l’accezione negativa che spesso ha per noi italiani, nda) e la vera bellezza, ogni volta, stava nel vedere i genitori innamorarsi del loro bambino.
Qui in Italia la GPA non è permessa: secondo te perché dovrebbe essere regolamentata anche qui?
Credo fermamente che dare alla luce un bambino per qualcun altro sia una delle scelte più potenti che una donna possa fare. Scegliere di condividere il proprio corpo con un nuovo essere umano tanto desiderato, è incredibile.
Se regolamentata da leggi giuste e accompagnata da supporto specifico, la maternità solidale dovrebbe essere un’opzione per chiunque ne abbia bisogno. Anche perché è solo disciplinando una pratica che si evitano illeciti.
Quanto credi sia importante per una donna poter avere la libertà di scegliere di intraprendere, da gestante, un percorso del genere?
La libertà di scelta per le donne, come per chiunque, è ovviamente sempre fondamentale: anche quando scegliamo di donare la vita, dobbiamo avere l’ultima parola, perché nessuno tranne noi può fare la scelta più giusta per il nostro corpo.
Che cosa vuol dire, per te, poter dire di essere una portatrice?
Poter dire di aver contribuito a rendere madri altre donne è per me come avere un superpotere. Grazie a me e al mio corpo è stato creato un nuovo ramo di un albero genealogico.
Che cosa pensano, della loro storia, lз bambinз che hai partorito per altrз?
I miei bimbi surrogati conoscono la nostra storia e sanno che li ho aiutati a farsi strada verso la loro mamma e il loro papà. Questo è un criterio sulla base del quale ho sempre scelto le coppie che volevo aiutare: erano tutte persone che avrebbero raccontato la verità, ai loro bambini, sulla loro nascita. Purtroppo non è quello che succede sempre, ma penso sia imprescindibile raccontare ai nostri figli le loro origini, per questo non avrei mai accettato di partorire per chi avrebbe poi tenuto nascosta la verità. Anche perché vorrebbe dire privare i bambini di una storia bellissima e non ne capisco il motivo.
La mia bimba surrogata più grande, a 8 anni parlava di me dicendo che sono stata per lei una mamma-canguro! Effettivamente funziona più o meno così: porto con me il piccolo per nove mesi, giusto il tempo di farlo crescere, e poi lo faccio arrivare tra le braccia di chi non solo condivide con lui il patrimonio genetico ma ha soprattutto avuto il desiderio che quella gravidanza e quel bambino esistessero!
E le tue figlie? Come hanno vissuto il fatto che hai dato alla luce bambinз per altrз?
Le mie figlie avevano 2 e 5 anni quando ho avuto il mio primo bambino-per-altri.
Era un concetto così semplice e normale per loro che, quando vedevano una donna in attesa, le chiedevano se il bambino fosse suo (Julia ride, nda)!
Oggi amano raccontare alla gente che la loro mamma ha aiutato altre donne a diventare madri. Non so se anche grazie anche alla mia scelta, ma dimostrano sicuramente una profonda comprensione dell’idea di solidarietà: il nostro motto è “se puoi aiutare, aiuta”.
Il ricordo più bello che hai?
Ho così tanti ricordi incredibili che è difficile scegliere…
Sicuramente penso spesso a quando finalmente, dopo diversi tentativi, sono rimasta incinta del mio secondo figlio surrogato: ho visto le due righe sul test di gravidanza, ho preso la macchina al volo e sono andata a casa dei genitori. Sono scesa sventolando in aria il test positivo: la futura mamma, che era appena uscita dal pollaio dove aveva raccolto le uova per la giornata, mi ha vista e le ha lasciate cadere tutte, e ci siamo strette, inginocchiate per terra, in un abbraccio fortissimo. È stato pazzesco.
Poi ho avuto anche la fortuna di poter dare un fratello a Kennedy, la mia prima bimba surrogata: quindi quando ho ottenuto il risultato positivo per quella che era la mia terza gravidanza per altri, le ho inviato dei fiori congratulandomi con lei per essere diventata una sorella maggiore.
Ma quello che più spesso mi viene in mente riguarda proprio la nascita di Kennedy: in sala parto, non appena l’abbiamo sentita piangere, i miei occhi si sono incrociati con quelli della sua mamma e siamo scoppiate a piangere anche noi. Lei continuava a dire “grazie”, e io le ho risposto: “sei una mamma!!!”.
Succede sempre così: io ringrazio i genitori per essersi fidati di me e loro ringraziano me per essermi presa cura del loro bambino fino a quando non era pronto per il mondo.
Intervista di Federica Salamino a Julia Ross.