WHITE SAVIORISM: IL “BUON” COLONIALISMO

Ti ricordi di Rudyard Kipling e del suo “fardello dell’uomo bianco”? Come reagiresti se ti dicessi che quell’ideologia è ancora parte della nostra cultura, ma che ha semplicemente cambiato nome e forma?

L’espressione “white savior” (dall’inglese: “salvatore bianco”) si riferisce a una persona bianca che fornisce aiuto a persone BIPOC (Black, Indigenous and People of Colour), spesso senza neanche domandarsi se questo aiuto sia necessario o indispensabile, nel contesto di aiuti umanitari o missionari.

Anche conosciuto come “complesso del Messia”, “sindrome del salvatore” o, ancora meglio, “white savior complex” (complesso del salvatore bianco), è considerato una versione moderna del “fardello dell’uomo bianco” di Rudyard Kipling (1899).

Questo comportamento può scaturire sia da ragioni nobili, come il desiderio di creare un cambiamento positivo nel mondo, ma può anche essere attribuito a motivazioni egoistiche di persone bianche, spinte più dall’esibizionismo che dalla reale volontà di usare il proprio privilegio a favore delle minoranze etniche.

Per quanto riguarda l’Italia, non esiste né un corrispettivo linguistico né un’adeguata informazione a riguardo, eppure la Chiesa rimane tra i maggiori promotori delle suddette “azioni umanitarie”.

Ma perché il white savior può essere dannoso, nonostante si tratti di un aiuto concreto, anche mosso dai migliori sentimenti? Secondo Djarah Kan, cantante e scrittrice afroitaliana, “in molte culture africane mostrare la propria povertà è una grande vergogna. Dire di aver bisogno di aiuti economici è una grande vergogna. Non avere i soldi per vestire e mandare i propri figli a scuola è una grande vergogna”.

Kan continua “Da piccola ricordo che mia madre, costantemente disoccupata, pur di non farci andare a scuola con vestiti dismessi preferiva riempirsi di debiti. Diceva che mai e poi mai avrebbe lasciato che unə biancə guardasse alle proprie figlie nello stesso modo in cui era stata abituata ad osservare e subire il rapporto malato che si creava tra lз africanз e lз volontarз che partivano nel Continente con l’obiettivo di “salvare l’Africa”. E a pensarla così non era solo lei ma tante sue connazionali che pur di non mettere lз proprз figlз in una situazione di subalternità avrebbero fatto di tutto, e dico letteralmente di tutto, per sottrarlз all’immaginario də bambinə africanə.

IL WHITE SAVIORISM NEI MEDIA

Il white saviorism non si consuma solo all’interno delle missioni umanitarie, ma anche nel nostro universo mediale.

Le rappresentazioni più ovvie sono i selfie delle celebrità con questo o quel local (persona del posto).
Ad esempio, in occasione della Giornata Internazionale della Carità, il 5 settembre, l’attore scozzese Gerard Butler ha pubblicato un post in cui raccontava la sua esperienza con Mary’s Meals, associazione che istituisce programmi di alimentazione scolastica in alcune delle comunità più povere del mondo, in cui le condizioni di estrema indigenza impediscono aз bambinз di ottenere un’istruzione. E probabilmente adesso vi stareste chiedendo quale sia il problema. 

Questa è la foto a cui mi sto riferendo e non si può fare a meno di notare quanto sia una rappresentazione stereotipata delle persone del continente africano che fin troppo spesso vengono messe in mostra per far vedere la beneficenza e l’aiuto che ricevono.

Questo però ci ricorda come a mancare sia proprio l’impegno nel raccontare eticamente il modo in cui le organizzazioni non profit/ONG raccolgono fondi.

Se non sono vestiti di stracci, sono “poveri ma felici”. La trama non cambia mai e l’obiettivo finale è più o meno lo stesso. 

Tale immaginario alimenta il “poverty porn”. Con questa espressione si intende “qualsiasi tipo di media […] che sfrutta la condizione di povertà per generare la necessaria simpatia per la vendita, l’aumento delle donazioni caritatevoli o il sostegno a una determinata causa”. Questa oggettivazione identifica le comunità locali come vittime impotenti che non possono fare a meno di questi aiuti, figurandoli come soggetti inetti e incapaci che attendono passivamente soccorso.

Il “porno sulla povertà” inganna l’aiutante e l’aiutatə, dando potere alla persona sbagliata.

In primo luogo, dice aз donatorз che, grazie alla loro posizione nella società e delle loro risorse, hanno la capacità di essere lз salvatorз nelle comunità vulnerabili di cui probabilmente non sanno niente. Non riesce a risvegliare lз bianchз al bisogno reciproco di trasformazione economica ed educativa e invece perpetua un pericoloso paternalismo. In secondo luogo, debilita gli aiutati definendoli con la loro sofferenza.

Ma la narrazione del salvatore bianco è stata spesso ripresa anche dai lungometraggi, come modello per rappresentare un rapporto impari e disequilibrato in cui il white savior ha un aspetto messianico. Nelle serie tv, ad esempio, Il mio amico Arnold è il perfetto esempio del white savior complex: una stimata famiglia americana bianca che adotta un bambino nero.

A proposito, la studiosa Robin R. Means Coleman ha detto: “in queste commedie, i bambini neri sono salvati dalle loro famiglie disfunzionali o comunità da parte dei bianchi. Il che la dice lunga sul tipo di idea che si vuole passare della comunità nera, e della dicotomia che in questo modo si viene a creare fra lз bianchз/buonз/caritatevoli e lз nerз/arretratзi/bisognosз di protezione o di essere salvatз. Chiaro che, in un rapporto del genere, la subordinazione di una parte all’altra sia evidente, ed è qui che sta la falla del white savior.”

LE CONSEGUENZE DEL WHITE SAVIORISM NELLE COMUNITÀ 

Andiamo adesso ad analizzare punto per punto le conseguenze pratiche di questo tipo di mentalità.

Innanzitutto, impedisce che la missione sia improntata al dialogo. Lз espertз bianchз intervengono su un territorio che non conoscono senza lavorare al fianco dз leader locali e delle parti interessate.

Fare le cose “per” altrз è espressione di un paternalismo che ci dipinge come eroi, piuttosto che far diventare lз altrз gli eroi delle loro stesse storie. Ciò contribuisce a un’identità basata sulla vergogna e sul senso di impotenza.

Oltre a ciò, queste missioni umanitarie sono spesso frutto di una visione miope.

Tali viaggi costano decine di migliaia di euro, ma se gli stessi fondi venissero impiegati nel finanziamento di progetti locali, senza la necessità di far arrivare persone da tutto il mondo, sarebbe sicuramente un investimento più efficace.

Emanciperebbe le comunità dalla presenza bianca e permetterebbe soluzioni più consone al territorio e alle persone perché ideate direttamente da coloro che vivono quella realtà quotidianamente.

Inoltre, quando si va a costruire qualcosa, che sia una scuola o un pozzo, molte volte manca una parte di formazione e informazione sull’area importante che porta all’attuazione di soluzioni facili e veloci che possono funzionare solo nel breve periodo, ma che cadranno in disuso nel lungo periodo, spesso per motivi di agibilità.

COME DECOSTRUIRE LA NARRATIVA DEL WHITE SAVIORISM

Quindi cosa dovremmo fare? Smetterla di postare foto di coloro che sono impegnatз in attività di volontariato o stretзi in un abbraccio con una persona BIPOC? Ovviamente no, ovviamente non è questa la soluzione. 

Anzi, il loro esempio può essere utile alla decostruzione della narrativa.

Piuttosto che mostrarsi impegnati in attività di sostegno, perché non potremmo mostrare l’expertise di queste comunità intenta a svolgere il proprio lavoro con dignità? Dobbiamo dare la voce aз verз protagonistз, a chi questa realtà la vive ogni giorno da tutta la sua vita. 

Ad esempio, la pagina instagram ugandese @NoWhiteSaviors è quotidianamente impegnata in attività di divulgazione sul tema e in un post specifica “che c’è bisogno di fare del buono, anche e soprattutto se si ha un’influenza notevole come quella che, naturalmente, hanno le celebrities, ma bisogna anche ragionare sull’impatto di ciò che si sta facendo e comprendere che agire in una determinata maniera significa perpetuare un regime di oppressione e accentuare un dislivello atavico.”

Infine c’è l’aspetto principale, che è quello di portare avanti comunque, pur con tutta la buona fede e l’ingenuità del caso, la visione colonialista per cui è sempre lə biancə che dà e lə biancə che toglie, e che quindi ci troviamo di fronte a un mero assistenzialismo, e non al tentativo di aiutare davvero le comunità a rendersi indipendenti.

COSA PUOI FARE PER AIUTARE

  • Donare ad associazioni che creano empowerment piuttosto che inviare aiuti
    • Ad esempio www.KIVA.org è un’organizzazione no-profit internazionale con la missione di espandere l’accesso finanziario per aiutare le comunità svantaggiate a prosperare. Lo fa finanziando prestiti in crowdfunding e sbloccando il capitale per lз meno abbienti, migliorando la qualità e il costo dei servizi finanziari e affrontando le barriere sottostanti all’accesso finanziario in tutto il mondo.
    • KIVA è diversa da altre organizzazioni perché istituisce dei prestiti e non delle donazioni, creando una partnership di dignità reciproca; inoltre, creando opportunità autonome sul territorio, può plasmare il futuro di una famiglia, se non di tutta la comunità.
  • Se proprio desideri partire, informati bene e trova un’associazione che collabori con le persone del posto e che conosca effettivamente i loro bisogni
    • Ad esempio, www.MeToWe.com è un’impresa sociale che crea posti di lavoro responsabili nelle regioni rurali del WE Village in tutto il mondo anche attraverso viaggi ecologici. Inoltre sostiene la produzione artigianale e i beni di consumo Fairtrade per aiutare le famiglie a uscire dalla povertà.
      • Essenzialmente, fornisce servizi per assistere WE Charity, il suo ente di beneficenza, in particolare ospitando viaggi di donatorз WE Charity che stanno visitando progetti di beneficenza e offrendo borse di studio per viaggi di servizio aз giovani.
      • Sul sito di MeToWe è anche possibile acquistare caffè, cioccolato o bracciali fair-trade che, attraverso il sistema a circuito chiuso con cui opera l’associazione, permette di assicurare una provenienza etica e sostenibile e di stabilire programmi di alfabetizzazione finanziaria, formazione e istruzione per le piccole imprese.
    • Inoltre, molti viaggi umanitari si concentrano sulla semplice costruzione di questo o quel servizio, e per quanto questo sia importante rimane comunque un lavoro a bassa specializzazione che sarebbe possibile far svolgere anche a persone che non hanno avuto accesso ad alti gradi di istruzione. Quindi, se sei unə espertə, sarebbe molto più utile se condividessi la tua esperienza e le tue conoscenze in un lavoro altamente specializzato, insegnando o offrendo i tuoi servizi alla comunità.

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