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LA DESESSUALIZZAZIONE DEL CORPO DISABILE

DESESSUALIZZAZIONE 

de|ses|su|a|liẓ|ẓa|zió|ne, s.f 

“Privazione o perdita del carattere erotico o sessuale”

Fin dagl’albori della civiltà umana le persone con disabilità sono state, nel migliore dei casi, ingnorate, recluse e marginalizzate. Quando finalmente il periodo del romanticismo ha portato alla luce l’importanza dei sentimenti e dell’anima la rappresentazione delle persone con disabilità ha cominciato ad apparire peggiorando, se possibile, una situazione già complessa. Si è creata l’immagine del freak, də storpiə, də scherzo della natura visto come unə fenomenə da baraccone, feticciə esoticə da esporre che attraeva per le sue stranezze stuzzicando gli istinti più viscerali del pubblico. 

Tra questo momento e il 2021 ci sono circa 2 secoli di storia che hanno visto nascere le scienze sociali, le rivendicazioni del movimento crip, il ’68, la legge basaglia, le tutele sociali, l’ICF, e chi più ne ha più ne metta. 

Questo elenco approssimativo e per nulla dettagliato vuole sottintendere che tutto questo non sia importante? Assolutamente no! 

Le tutele che si sono conquistate con tenacia e scontri durissimi sono fondamentali e non vanno assolutamente date per scontato. Ma tutte queste conquiste in campo sociale non sono state seguite da un così assiduo lavoro di “riabilitazione” dell’immagine delle persone con disabilità. Si è così creato una sorta di limbo che vede le persone con disabilità accettabili e desiderabili in alcuni ambiti ma ancora emarginate in altri. Diventa quindi “normale” pensare di aver unə collega, unə insegnante, unə compagnə di classe o università che abbia una disabilità più o meno evidente, già meno desiderabile pensare di uscirci a bere la sera o passare una serata in discoteca. 

In gergo tecnico si chiama liminalità, ossia quello stato di sospensione in cui una persona si trova tra due stadi in un rito di passaggio. Per la persona con disabilità il limbo è tra uno stato di “malattia” e quello di persona sana. Lə disabile non è malatə ma nemmeno sanə, per questo difficile da accettare e sicuramente poco desiderabile fisicamente o socialmente in ambienti informali. 

Spesso è meccanismo inconscio che facciamo per eccesso di premura, chiamiamo lə nostrə amicə con la sedia a rotelle solo quando siamo certi di andare in un luogo senza barriere architettoniche, invitiamo lə nostrə collegə ciecə ma solo se non andiamo in luoghi troppo affollati dove potrebbe essere in soggezione, non andiamo a trovare lə compagnə di classe che non riesce ad uscire autonomamente per paura di disturbare o essere inopportunз. 

Tutto questo è chiaramente inserito in un contesto che non favorisce per nulla l’integrazione e la coesistenza di persone abili e con disabilità. 

Le campagne che sono state fatte negli ultimi anni per sensibilizzare sul tema sono spesso pietistiche, utilizzano un linguaggio sbagliato e discriminatorio, rafforzano l’idea che le persone con disabilità debbano essere superumanз più forti deз altrз che vanno lodatз per risultati mediocri o che debbano raggiungere per forza l’eccellenza massima per sentirsi appagatз. 

Questi messaggi calati nel marketing e nei media prendono il nome di disabilitywashing. 

Ossia il fenomeno per cui molti brand organizzano campagne pubblicitarie o di marketing con al centro la disabilità senza tuttavia avere un’adeguata preparazione in merito. Si arriva quindi ad avere prodotti con un linguaggio sbagliato e abilista che manda messaggi scorretti che non fanno che alimentare  l’idea che lз disabili debbano stare con lз disabili o che le persone con disabilità debbano avere un’attenzione particolare. 

Basta pensare alle pubblicità in cui si sottolinea più marcatamente la presenza di una persona con disabilità o alle capsule collection create appositamente per le persone disabili promuovendo l’idea che sia necessario qualcosa di apposito per loro e che non possano utilizzare oggetti comuni a tuttз lз altrз. 

Chiaramente queste campagne non nascono da una sincera sensibilità verso il tema della disabilità ma dall’intenzione dei brand di capitalizzare le battaglie di chi ha una disabilità senza un’adeguata preparazione in merito. 

Un ulteriore mezzo sottile per portare avanti una visione sbagliata e stereotipata delle persone con disabilità è quella della narrazione mediatica. Lз disabili devono restare in “canoni estetici” di bellezza, non essere visivamente “disturbanti” a tal punto che molto spesso lз personaggi con disabilità vengono interpretati da persone abili per mantenere comunque una certa proporzione visiva. 

A chi sostiene che negli ultimi anni si siano fatti grandi passi avanti sia in campo pubblicitario che mediatico vorrei sottolineare come le persone con disabilità siano la sottocultura meno rappresentata in assoluto e quasi totalmente isolata dalle altre. Anche per una persona che tratta di questi temi quotidianamente è davvero difficile elencare prodotti mediatici o brand che affrontino il tema della disabilità in ottica intersezionale proponendo modelli diversi də disabile caucasicə, magrə senza una storia strappalacrime di resilienza e forza. 

Come fare per liberarsi di questa logica abilista che pervade quasi tutti gli aspetti della nostra esistenza? 

Beh sicuramente il primo passo è prenderne atto. Essere consapevoli dei propri bias e dei propri limiti culturali è fondamentale per riuscire a superarli.

Cercare di normalizzare la disabilità sia a livello generale nel marketing ma soprattutto nella nostra quotidianità. Portare modelli positivi di persone che trattano questi argomenti quotidianamente è importante per far vedere che un altro modo di vedere e trattare le persone con disabilità è possibile. 

Infine è importantissimo informarsi, cercare di capire ciò che non si conosce senza farsi scoraggiare dalla complessità che a volte è propria di chi ha una disabilità. 

Non voglio assolutamente sminuire l’importanza del contesto, è fondamentale che grandi catene o brand modifichino il loro modo di approcciarsi alla disabilità e dei messaggi che veicolano con esso. Tuttavia penso anche che questo debba essere unito ad una spinta dal basso, a dei piccoli passi che ognunə di noi può fare nella propria quotidianità per riuscire a mandare un messaggio forte. Se queste campagne e format sono ancora così attraenti da un punto di vista mediatico ed economico in termini di profitto significa che rispondono ai bisogni di una fetta consistente di mercato pensiamo quindi a quali gesti concreti possiamo attuare per normalizzare una condizione che di strano o eroico non ha assolutamente nulla. 

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