DI COSA STIAMO PARLANDO?
La deumanizzazione è l’esclusione di singole persone o di interi gruppi da una società – o perfino dal resto dell’umanità – attraverso strategie psicologiche e sociali di delegittimazione, ma anche mediante l’istituzione di barriere fisiche. Individuata come una delle più potenti forme di deprezzamento e ostracismo di persone o gruppi, la deumanizzazione è stata più volte messa in atto nel corso della storia, divenendo spesso il presupposto per conflitti e/o veri e propri stermini.
La professoressa Chiara Volpato, docente del Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca, in un articolo pubblicato sulla rivista “Psicoterapia e Scienze Umane”, in merito all’identità del male, scrive esplicitamente: «La deumanizzazione si avvale di strategie esplicite, che negano apertamente l’umanità dell’altro, e di strategie sottili, che erodono in modo inconsapevole l’altrui partecipazione all’umanità.» E ancora: «Le sue forme sono variegate e molteplici, il loro successo dipende di volta in volta dal contesto sociale e dallo spirito del tempo.»
ANIMALIZZAZIONE: BESTIA O PERSONA?
Tra le diverse forme che la deumanizzazione può assumere, ne emergono alcune molto comuni. Tra queste, per negare a persone o gruppi la dignità della loro natura umana, emerge l’animalizzazione: alle persone assimilate ad animali viene attribuita una natura irrazionale, istintiva e mancante di autocontrollo. Chi subisce questa forma di attacco si sente degradatə e umiliatə; chi la attua prova disgusto e disprezzo verso lз soggettз in questione. «I gruppi sociali di volta in volta esclusi dalla pienezza dell’umano, come donne e popoli barbari, sono sottoposti a trattamenti che dipendono dalla percezione della loro pericolosità.» spiega la professoressa Volpato. «Quando sono paragonati ad animali domestici diventano oggetto di atteggiamenti paternalistici e di azioni di sfruttamento; quando sono paragonati ad animali selvaggi sono considerati nocivi e quindi disprezzati, repressi, sterminati.» Nel mondo occidentale, un frequente ricorso all’animalizzazione si è verificato durante il colonialismo, «allo scopo di rafforzare la superiorità europea, per criminalizzare i nemici e stigmatizzare i gruppi considerati inferiori. » L’esempio più evidente dell’animalizzazione risale al periodo nazista, nei confronti della popolazione ebraica.
OGGETTIVAZIONE: NON SIAMO I NOSTRI CORPI
Esiste poi anche il fenomeno dell’oggettivazione, che rende la persona solo un oggetto. L’esempio tipico, di cui si è occupata in anni recenti la critica femminista, è l’oggettivazione sessuale, che valuta una persona in base all'”uso” che si può fare delle sue caratteristiche prettamente sessuali, comportando così una scissione tra quelle caratteristiche e tutti gli altri tratti di personalità che compongono la persona in sè. «L’oggettivazione sessuale si verifica quando, invece di considerare una persona nella sua completezza, ci si concentra sul suo corpo, o su parti di esso, che vengono considerati strumenti del piacere e del desiderio maschile.» dice ancora la professoressa Volpato, parlando di oggettivazione sessuale femminile. «E quando sono oggettivate, le donne tendono a interiorizzare la prospettiva dell’osservatore e a trattare se stesse come oggetti da valutare sulla base dell’aspetto fisico. Ma l’auto-oggettivazione incide negativamente sul benessere psicofisico, moltiplicando le emozioni negative e riducendo l’autoconsapevolezza, e contribuendo così alla diffusione degli stati depressivi, delle disfunzioni sessuali e dei disturbi alimentari.»
Diversi studi hanno evidenziato come l’oggettivazione, insita nella società moderna, possa condurre alla sessualizzazione precoce dз bambinз. Tutto ciò comporta che essз – le persone nate donne in particolare – interiorizzino la prospettiva del soggetto oggettivante e si trattino e percepiscano come oggetti. Ad aiutare quella che è stata chiamata auto-oggettivazione sono i mass media, che mettono i corpi – in special modo quelli femminili – sotto un riflettore particolare che serve proprio a sottolinearlo come bersaglio. I media, infatti, molto spesso offrono corpi scolpiti e sorrisi smaglianti. La continua esposizione fin da piccolз a determinati canoni di bellezza può portare, invece che ad apportare una differenziazione costruttiva che può definire l’assetto identitario della persona, a vivere le differenze con i corpi in copertina o alla televisione come anormalità.
Tuttavia, mentre è presente una ipersessualizzazione dei corpi tipicamente femminili, si verifica d’altra parte una ipermascolinizzazione dei corpi tipicamente maschili.
Gli stessi mass media presentano l’immagine di uomini con una notevole massa muscolare, che porta gli uomini a considerare inadeguato il proprio corpo, dovendo competere con determinati standard. Virilità e forza sono le due principali particolarità maschili, e chi non ne è caratterizzato è costretto a vedersi ridicolizzato e a far fronte alla cosiddetta mascolinità tossica, molto diffusa tra gli individui di identità maschile.
ALTRE FORME
C’è poi il fenomeno della biologizzazione: l’uso di metafore a contenuto negativo che rinviano alla malattia e alla mancanza di igiene. Sviluppatasi principalmente nel 1800, essa fa sì che si percepisca l’altrə come una malattia, un cancro, un virus: in altre parole, qualcosa che non è umano e, dunque, è da debellare. Va in tal senso la raffigurazione che veniva fatta degli ebrei come funghi velenosi.
Ricorre poi la demonizzazione, ossia la considerazione dell’altrə come un mostro: né più, né meno di un essere umano. Altre forme di demonizzazione sono la rappresentazione dell’altrə sotto forma di demone, diavolo o strega, attribuendo dei poteri magici che lə rendono pericolosə, e giustificandone quindi la caccia e la repressione. Non si tratta solo di un fenomeno storico: ancora oggi in alcuni Paesi centro-africani avvengono casi di persecuzione di streghe.
Mediante il fenomeno della meccanizzazione, poi, l’altrə è rappresentatə attraverso metafore meccanicistiche che lə fanno considerare indifferente, rigidə, freddə e privə di immaginazione e curiosità: in altre parole, un robot, non negato della sua competenza, bensì della sua comprensione e della sua capacità di provare emozioni e sentimenti.
DEUMANIZZAZIONE E PARITÀ
Per parlare di parità non si può prescindere dal parlare del concetto di umanità. Il primo obiettivo per il raggiungimento della parità – non solo tra uomini e donne – è rendersi conto della persona che si ha davanti, fatta di emozioni e sentimenti. I meccanismi psicologici analizzati fino ad ora fanno sì che ci si dimentichi che dall’altra parte ci sia non solo una persona, ma un essere umano. La deumanizzazione, dunque, si traduce nella mancanza di empatia, elemento imprescindibile per la lotta ed il raggiungimento della parità e di una società giusta, dove ogni persona, a prescindere dalle sue caratteristiche e particolarità, è importante ed ha valore in quanto tale.