La questione del linguaggio sessista utilizzato nel rap non sorprende, in quanto rispecchia la mentalità che permea la nostra società: vi è del becero maschilismo un po’ ovunque.
E ciò rappresenta un problema perché il linguaggio è lo strumento che usiamo per comunicare, e ciò che viene veicolato (di negativo ovviamente) sono una moltitudine di discriminazioni, stereotipi ed insulti verso le donne.
È quindi necessaria una modifica. Purtroppo non è un processo semplice: prima di tutto perché i cambiamenti avvengono con il tempo; in secondo luogo perché quando una donna prova a far notare che c’è qualcosa di sbagliato nel sistema, viene spesso accusata di essere pesante e di non saper ridere delle battute. A tal proposito, possiamo ricordare ciò che è accaduto a Margherita Vicario, cantautrice italiana, che ha reagito di fronte ad uno dei tanti testi del rapper Emis Killa (pieno di versi discriminatori, sessisti e in cui si dava per scontato il consenso sessuale). Ciò che ha ricevuto in cambio è stata una shitstorm da parte dә fan di Emis Killa.
È stata letteralmente ricoperta di insulti, indovinate come? Linguaggio sessista!
Ebbene si, è stata insultata con un linguaggio sessista. Questo è il motivo per cui tutti (rapper e non) dovrebbero assumersi la responsabilità per il proprio genere, educando se stessə e lə altrə. Intendiamoci, a nessunə rapper è richiesta una qualche funzione educativa, ma questo non giustifica l’utilizzo di espressioni degradanti. Si può fare buona musica anche senza questo tipo di linguaggio, che assolutamente non crea cultura, ma divisione.
Quando si pensa al rap, nella fattispecie quello italiano, ci vengono in mente uomini che performano questo genere. Non siamo sessistə. Nel rap, gli uomini dominano la scena: sono in numero maggiore e questo è un dato di fatto. Di donne che fanno rap, in Italia, ce ne sono ben poche (o quantomeno quelle conosciute sono pochissime), perché? Potremmo rispondere semplicemente dicendo che in questo campo, così come in tanti altri, per una donna fare carriera è sempre più difficile rispetto ad un uomo.
Il sessismo nel rap
Andando un po’ più a fondo, si nota che il linguaggio usato nel rap è sessista: l’immagine della donna che ne viene fuori è quella della tr*ia (parole loro, non nostre), sempre pronta a concedersi e che in cambio non chiede nulla, perché il suo unico scopo è quello di soddisfare il piacere maschile. Ci troviamo di fronte ad una delle tante manifestazioni di male gaze. Far parte di questo mondo potrebbe essere complicato, ma non nuovo: quante volte una donna deve ignorare e sorridere di fronte alle battute sessiste che le vengono rivolte in contesti di lavoro?
Immaginate però queste battute cantate di fronte a milioni di persone, riprodotte su Spotify e ripetute dai fan. Le soluzioni sono due: o ti ribelli e sei consapevole che dovrai essere costantemente sulla difensiva, oppure accetti le regole di questo gioco maschilista e ti adatti a uno stereotipo di donna che viene, più e più volte, riproposto. Essere donne libere non è facile come sembra quando vivi in contesti in cui adeguarsi si pone come l’unica opzione possibile per poter sopravvivere.
Tra le voci in merito alla questione sessista c’è quella di Wissal Houbabi, attivista che si batte per l’antirazzismo e il femminismo. Uno dei meriti di Wissal è quello di aver redatto il Manifesto per l’anti-sessismo nel rap italiano che si compone di sette punti. Il Manifesto è stato scritto per la rete femminista “Non una di meno” nel 2018.
Manifesto per l’anti-sessismo nel rap italiano
1. AMMISSIONE → ammissione da parte di chi scrive e ascolta rap che esiste al suo interno un problema di sessismo e che contribuisce alla normalizzazione della violenza sulle donne.
2. IMPEGNO ALL’ANTI-SESSISMO FORMALE → richiesta di non produrre contenuti sessisti e omofobi, che spesso e volentieri sono giustificati come componenti necessarie della cultura rap.
3. IMPEGNO ALL’ANTI-SESSISMO SOSTANZIALE → richiesta di non produrre contenuti che vadano a oggettivare le donne, dando anche per scontata una presunta inferiorità femminile.
4. IL DIRITTO/DOVERE ALL’AUTOCRITICA → richiesta di fare autocritica rispetto a quei testi che hanno contribuito al sessismo
5. ANCHE L’UOMO E’ VITTIMA DEL MASCHILISMO → il machismo e il patriarcato offendono anche gli uomini, dando vita ad una gerarchia relativa alla loro produzione artistica. Più è alto il successo di unə rapper, più ogni sua parola e gesto saranno giustificati.
6. IL DIBATTITO → richiesta di affrontare il problema del sessismo da artistə e ascoltatorə, in tutti i luoghi dove si fa musica e si parla di musica.
7. LA PROMOZIONE DELL’ANTI-SESSISMO → richiesta a tutte le realtà impegnate nell’organizzazione di eventi musicali, di prendere posizione e promuovere artistə che si sono impegnatə attivamente contro il sessismo.
Fonti
Wissal Houbabi, «Manifesto per un rap antisessista» in Non esiste solo il maschile, a cura di Sergia Adamo, Giulia Zanfabro ed Elisabetta Tigani Sava, EUT Edizioni Università di Trieste, 2019
Giulia Blasi, Rivoluzione Z. Diventare adulti migliori con il femminismo, Rizzoli, 2020