Letteralmente “greenwashing” significa “lavare di verde” e con questo nome ci si riferisce alla pratica – a scopi commerciali – di fingere sostenibile un’attività che non lo è. È l’unione di “green” (verde) e “whitewashing”, cioè l’attività di mascherare o nascondere fatti spiacevoli.
Il termine si sta usando molto nelle ultime settimane dopo che la compagnia svedese H&M è stata accusata di greenwashing dall’Autorità norvegese de* consumator* in merito alla sua ultima collezione “Conscious”. Infatti una comune pratica di greenwashing è diffusa proprio nell’industria della moda: far credere che interi capi siano completamente sostenibili o ricavati da materiali naturali e prodotti senza inquinare l’ambiente, anche quando non è così oppure quando lo sono in parte.
Il greenwashing però non riguarda solo questo settore, ma in generale si riferisce a tutti i brand o attività commerciali che trasformano la propria attività (o il loro prodotto) in un finto sostenibile.
A fronte di una maggiore consapevolezza sull’impatto di quello che produciamo e consumiamo, si è vista negli ultimi decenni una maggiore attenzione al criterio della sostenibilità accanto a criteri di qualità e prezzo. L’industria, per adattarsi, si spaccia per eco-friendly anche quando non lo è.
Soprattutto, il greenwashing è caratterizzato da una facciata di sostenibilità quando nella realtà il soggetto industriale non si impegna affatto per la tutela ambientale, in alcuni casi contribuendo in senso opposto.
Il greenwashing, definito anche “ambientalismo di facciata”, è una pratica di comunicazione e marketing.
Si è sviluppata negli ultimi anni come strategia di adattamento dell’industria, dopo la crescente attenzione di molt* consumat* verso l’impatto ambientale di quello che acquistano.
Aziende o produttor* che finora non si preoccupavano di questo aspetto, hanno iniziato a presentarsi come responsabili e attent* al tema dell’ecologia pur di evitare la perdita di reputazione o di clienti. Dall’altra parte, si è resa necessaria una maggiore responsabilità ecologica anche perché molti Stati hanno introdotto norme a tutela dell’ambiente.
Così è avvenuta una “trasformazione” dell’immagine aziendale orientata a mostrare i suoi elementi “verdi” come materiali naturali, utilizzo di fonti rinnovabili nella produzione, pubblicità in carta riciclata, abbandono della plastica, etc.
In cosa consiste?
Consiste in pratiche come aggiungere la dicitura “eco” ai propri prodotti, usare il verde per il packaging, sottolineare la presenza di ingredienti naturali, usare la dicitura “bio”, produrre la “linea eco-friendly”
Alcuni fattori indicativi:
- Vaghezza: quando le informazioni riportate sono vaghe, quindi fraintendibili
- Falsa etichetta: mentire sugli ingredienti, o sulla loro quantità, o non riportarli tutti
Segnalare solo i prodotti o ingredienti “verdi” spostando l’attenzione da altri, comunque presenti, non sostenibili
Indurre i/le consumat* a pensare che comprando si aiuti l’ambiente
In quali ambiti fare più attenzione? Industria della moda, Fonti di energia, Cibo, Cosmetici e prodotti per l’igiene personale
Qual è il problema? Non basta includere un elemento “naturale” per cancellare un’intera filiera di produzione inquinante o poco sostenibile. Allo stesso tempo, non si risolve il problema delle emissioni o dello sfruttamento del territorio solo presentando una azienda o società come “verde”, se quella stessa attività non è completamente volta a tutelare l’ambiente e con la sua filiera produttiva contribuisce invece all’estensione di danni ambientali.
Come riconoscere il greenwashing? Non limitarsi solo al prodotto ma considerare l’azienda nel suo insieme: come produce? Quali sono le sue pratiche di business? Qual è l’obiettivo generale dell’azienda o del prodotto? La sua attività generale che impatto ha verso l’ambiente?
FONTI
Greenwashing Index (sustainable.org)
Greenwashing: cos’è, cosa significa e come difendersi (greenious.it)