Alla fine degli ’70 l’Italia divenne teatro di numerose proteste da parte del movimento LGBTQI+ e la politica non potette far altro che accettare di interessarsi alla questione della transizione sessuale.
In quegli anni, le persone transgender non avevano la possibilità di cambiare genere e nome, vivendo come intrappolati in un corpo biologico che non sentivano proprio e che causava loro profondi disagi e sofferenze.
Finalmente, con la legge n. 164 del 1982, si introdusse la possibilità di cambiare genere, riconoscendo così il diritto dell’individuo alla rettificazione di attribuzione del sesso anagrafico in un procedimento ad hoc: possibilità che era prevista, però, solo dopo l’intervento chirurgico.
Superato positivamente il vaglio della Consulta, ci fu il definitivo riconoscimento del rango costituzionale del diritto all’effettiva identità sessuale come diritto fondamentale ai sensi dell’art. 2, 3 e 32 Cost. e art. 8 Convenzione Europea Diritti Uomo.
Il D. Lgs. 150/2011 ha poi novellato la disciplina del procedimento in esame: le due domande giudiziarie, l’una avente oggetto l’autorizzazione al trattamento chirurgico demolitivo, l’altra avente oggetto la rettificazione degli atti di stato civile – in cui recepire l’intervenuta ri-assegnazione del genere- che sono sorrette dalla medesima condizione personale di “incongruenza di genere”, saranno cumulabili ex art. 103 e 104 c.p.c.
Il tribunale autorizza l’intervento di mutamento di sesso “solo ove necessario”, ammettendo quindi che l’accoglimento della domanda di rettificazione del genere prescinda dalla trasformazione fisica dell’individuo, e si fondi piuttosto sull’accertamento della condizione personale del* richiedente, sulla serietà ed univocità del percorso di transizione e sulla compiutezza dell’approdo finale.
Una reale evoluzione dei diritti delle persone transessuali si avrà, però, solo nel 2015, con due importanti sentenze: 15138/2015 e 221/2015.
L’Istituto Superiore di Sanità definisce la “disforia di genere” come quella condizione caratterizzata da una intensa e persistente sofferenza prodotta dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso biologico, la quale può condurre la persona a una profonda sofferenza, ansia, depressione e/o difficoltà di inserimento in ambito sociale, lavorativo o in altre importanti aree.
L’ICD-11, pubblicato il 18 giugno 2018, de-patologizza la “disforia di genere”, trasferendola dal capitolo dei disturbi mentali a un nuovo capitolo, appositamente creato, sulla salute sessuale in cui è classificata come “incongruenza di genere”.
Quando parliamo di genere ci riferiamo a caratteristiche dipendenti da fattori culturali, sociali, psicologici che definiscono i comportamenti considerati tipici per l’uomo e per la donna.
Il sentire di appartenere intimamente all’uno o l’altro genere costituisce l’identità di genere ed è alla base della transizione sessuale.
Per alcune persone, l’identità di genere è diversa dal sesso biologico.
Ci si può, per esempio, sentire-vivere come una donna, ma essere di sesso biologico maschile; oppure sentire-vivere come un uomo ma essere di sesso biologico femminile; o ancora, sentire di non appartenere a nessuno dei due generi individuati binariamente.
L’ “incongruenza di genere” coinvolge diverse persone, le quali decidono di intervenire sul proprio corpo per renderlo più simile al proprio “sentire”, attraverso trattamenti ormonali e/o chirurgici.
Il percorso di transizione sessuale ha come fine proprio quello di avvicinare la persona alla propria identità di genere.
Si precisa che l’ “incongruenza di genere” è del tutto indipendente dall’orientamento sessuale, termine che indica l’attrazione sessuale ed affettiva verso una persona.
Ad esempio, l’attrazione sessuale potrà presentarsi nei confronti dello stesso sesso (omosessualità), del sesso opposto (eterosessualità) o ancora attraverso altri orientamenti.
Le persone transessuali possono quindi avere qualsiasi orientamento sessuale e sentimentale, ad esempio possono essere eterosessuali, lesbiche, gay, bisessuali, asessuali, pan o polisessuali.
Prima del 1982, non era possibile cambiare sesso in Italia.
La Legge 164/1982 prevede che la rettificazione di sesso sull’atto di nascita sia possibile quando:
- c’è l’autorizzazione del Tribunale con sentenza
- la sentenza è passata in giudicato
- i caratteri sessuali sono già stati modificati (si presuppone che la persona transessuale si sia già sottoposta a un intervento chirurgico di demolizione o di costruzione dell’organo sessuale primario).
Al centro della legge vi è l’attenzione esclusiva alla somiglianza della biologia con l’anagrafica della persona interessata.
- Art. 31 D.Lgs 150/ 2011: l’intervento chirurgico può essere autorizzato dal Tribunale per adeguare i caratteri sessuali “solo quando risulta necessario”
Non è più richiesto che l’intervento sia già avvenuto per presentare la domanda di cambio genere, ma è ancora richiesta l’autorizzazione del Tribunale per l’intervento.
- Sentenza Corte di Cassazione n. 15138/2015
L’intervento chirurgico non è obbligatorio per il cambio di genere e la scelta in merito a eseguirlo o meno spetta alla persona interessata.
I requisiti sono una scelta ponderata e univoca, preceduta da un percorso di transizione documentabile.
- Sentenza Corte Costituzionale n. 221/2015
L’intervento chirurgico per il cambio di genere è eventuale e non necessario in un processo di transizione. L’operazione chirurgica deve essere intesa come un mezzo per raggiungere il benessere psicofisico e quindi per tutelare il diritto alla salute.
FONTI
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1982/04/19/082U0164/sg
https://studiopiemonte.com/cambio-sessualita/
https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/d/disforia-di-genere#terapia