Con il termine “spettro dell’autismo” ci si riferisce ad un disturbo che ha esordio in età evolutiva e rappresenta una condizione che coinvolge circa l’1% della popolazione, con stime simili in campioni di bambin* e adult*.
Il fatto che il disturbo dell’autismo venga considerato all’interno di uno “spettro” significa che la distribuzione della frequenza di un dato comportamento varia nel tempo e nell’intensità della sua manifestazione.
Questo comporta che, all’interno dei sintomi dell’autismo, vi siano persone con esperienze e caratteristiche cliniche molto eterogenee. Ma che in generale manifestano una compromissione sociale e linguistica e/o presentano spesso comportamenti ripetitivi e interessi ristretti. I sintomi dell’autismo di matrice comportamentale si riferiscono principalmente a due dimensioni:
- comunicazione e interazione sociale;
- comportamenti, interessi o attività.
Schematicamente, possiamo dividere le diverse manifestazioni dello spettro dell’autismo in:
- autismo “ad alto funzionamento”: Persone capaci di comunicare verbalmente e dotate di un’intelligenza normale o superiore alla media;
- autismo “a basso funzionamento”: Persone che non sono capaci di usare un linguaggio appropriato alla comunicazione con altr* o che hanno capacità cognitive inferiori alla media.
Alcune tipologie di autismo ad alto funzionamento vengono diagnosticate tardi. Dopo anni di errate diagnosi, questo per una scarsa formazione da parte del personale di competenza. Ciò, oltre a causare grande sofferenza per sé e per le persone vicine, impedisce di comprendersi, di riconoscere i propri bisogni. E di rompere un’eventuale percezione di solitudine; inoltre questo impedisce di poter accedere a servizi di supporto e di cura adeguati.
Le caratteristiche
Alcune delle principali caratteristiche associate allo spettro dell’autismo sono:
- Comunicazione verbale e non verbale in alcuni casi scarsamente integrate;
- Contatto oculare o linguaggio del corpo anomali: vi è una difficoltà nella comprensione e nell’uso dei gesti e vi può essere una mancanza di espressività facciale e comunicazione non verbale;
- In generale, mancanza di attenzione condivisa, manifestata attraverso la carenza di pointing (indicare), mostrare o portare e condividere oggetti di interesse e attraverso il non seguire lo sguardo dell’altro (triangolazione);
- Difficoltà nell’adattare il comportamento ai diversi contesti sociali, nell’usare ironia, sarcasmo o “bugie bianche”, nel fare amicizia e nel gestire le emozioni complesse;
Spesso inoltre, gli interessi sono ristretti e si manifestano preferenze alimentari limitate. Ancora, troviamo:
- Presenza di movimenti stereotipati o ripetitivi, come il flapping (sfarfallamento) delle mani, e bisogno di routine rigide;
- Iper o iposensibilità dei cinque sensi (ad esempio, indifferenza al dolore, alla temperatura; reazioni di panico nei confronti di rumori comuni; odorare o toccare lo stesso oggetto con un’insistenza inusuale, ecc.).
Molte persone con disturbo dello spettro dell’autismo sentono la necessità di “calcolare” cognitivamente ciò che è intuitivo per altr*. Spesso questo provoca ansia sociale
Il modello sociale della disabilità suggerisce che la disabilità è spesso creata da atteggiamenti, pregiudizi e barriere erette dalla società e non da qualche problema o deficit dell’individuo. Negli anni si sta facendo spazio il movimento della neurodiversità, che offre una contro-narrativa al modello medico.
La neurodiversità è definita come un paradigma bio-politico interessato alla promozione dei diritti e alla prevenzione di discriminazioni nei confronti di persone neurologicamente diverse dalla popolazione “neurotipica” (o non autistica).
La neurodiversità spiega lo sviluppo neurologico atipico come una variazione naturale del cervello: una forma alternativa della biologia umana. Per la neurodiversità, le persone con autismo rappresentano una normale variazione neurologica al pari di razza, genere o sessualità.
Il paradigma della neurodiversità sostiene come lo spettro dell’autismo non sia una condizione da curare. Quanto piuttosto una specificità umana o una differenza nei modi di socializzare, comunicare e percepire. I quali non sono necessariamente svantaggiosi.
Judy Singer, una scienziata sociale con tratti autistici, ha coniato il termine nel 1998. Con la sua definizione, la sociologa ha posto l’accento sulle qualità e le risorse delle persone neurodiverse, valorizzando i loro modi atipici di imparare, pensare ed elaborare informazioni, vedendoli come variazioni umane.
Da allora, il paradigma della neurodiversità si è espanso fino a comprendere un gruppo di condizioni cognitive come dislessia, discalculia, disprassia, sindrome di Tourette e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
Questo però non significa non prevedere più l’aiuto e il diritto delle persone neurodiverse ad ottenere eventuali aiuti.
John Elder Robinson, consulente del Neurodiversity Institute del Landmark College di Putney e con spettro dell’autismo, crede che sia possibile parlare di neurodiversità e mettere in luce gli aspetti e i talenti de* neurodivers*,
abbracciando anche l’idea di cura, nel rispetto delle difficoltà che incontrano le persone autistiche. Ciò, considerando la cura come “sollievo dalla sofferenza”.
tutt*, in un qualsiasi momento della loro vita, hanno bisogno di alleviare alcune sofferenze.
Bisognerebbe, insomma, liberarsi dell’idea che il termine neurodiversità sia sinonimo di disabilità perché è anche questo che induce i/l* neurotipic* a immaginare che il mondo vada costruito e vissuto secondo i soli criteri da loro definiti. Così facendo, magari, buona parte delle risorse risparmiate verrebbero rivolte alla diffusione della cultura autistica, poiché il compromesso sarà tanto più possibile quanto più vi sarà conoscenza delle reciproche “culture” di appartenenza.
L’identificazione precoce dell’autismo inoltre, rappresenta un’opportunità importante per poter garantire supporto e ausilio sin da subito. Le ricerche, infatti, mostrano che chi beneficia di tali interventi precoci presenta dei progressi significativi sul piano cognitivo, emotivo e sociale.
Fonti
www.spazioasperger.it
www.studicognitivi.it
www.stateofmind.it