Cosa si intende per appropriazione culturale?
Prima di gridare alla “dittatura del politically correct” cerchiamo di capire davvero a fondo la faccenda.
L’Oxford Dictionary definisce come appropriazione culturale “l’adozione non riconosciuta o inappropriata dei costumi, delle pratiche, delle idee, ecc. di un popolo o di una società da parte di membri di un altro popolo o società tipicamente più dominante”.
- Dinamiche di potere
Il primo elemento che identifica un comportamento come “usurpativo” è la provenienza dello stesso da una persona privilegiata, ossia una persona appartenente alla cultura di maggioranza.
Perché, … non eravamo tutti uguali?
No. Per quanto la globalizzazione abbia permesso il magnifico incontro tra culture, ciò non significa che esse si siano totalmente e indiscriminatamente fuse tra loro. Permane nel mondo moderno una diversità culturale che va riconosciuta e preservata e non può considerarsi annullata d’emblée.
Questo è ancora più vero se è la cultura minoritaria ad essere assorbita da quella di maggioranza, per ovvie ragioni: da tempo immemore, chi scandisce i termini di cosa sia in/out è la “ingenua onnipotenza” della cultura occidentale e quindi delle società economicamente più sviluppate.
È infatti evidente che lo sfruttamento di una identità tradizionale, che venga poi dismessa dopo poco, abbia un peso del tutto diverso a seconda di chi lo ponga in atto. Non c’è un reciproco scambio culturale ma una sistematica oppressione del gruppo dominante su quello oppresso.
Quale di questi è un comportamento appropriativo?
A) L’europe* che festeggia Halloween, acquisendo tradizioni propriamente statunitensi
B) Kim Kardashian che acconcia i suoi capelli nelle “Fulani Braids”, tipicamente africane, e le rinomina “Bo Derek Braids”
2. Oggettificazione delle tradizioni
Il secondo elemento identificativo del fenomeno è l’uso inappropriato, e spesso senza consenso, che si fa di queste culture, ossia un uso diretto prettamente alla monetizzazione e/o alla conformazione al trend del momento.
E ma allora non si può fare più niente!
Il punto è che, invece di fare ciò che abbiamo sempre fatto, trascinandoci pigr* nel perpetrare comportamenti sbagliati, è necessario comprendere, imparare, studiare e migliorare.
Questo fenomeno non è una novità ed è ingenuo credere che lo sia: ciò che è cambiato è la possibilità per le minoranze di farsi avanti per far sentire la propria voce.
C’è una sottile linea di demarcazione tra l’appropriazione culturale e l’apprezzamento per questa o quella cultura ed essa si poggia sulla consapevolezza e il rispetto. Non si apprezza una cultura se la si spoglia dei suoi valori storico-religiosi ai fini della soddisfazione di un capriccio momentaneo.
Ridurre degli elementi tradizionali ad accessori senza, tra l’altro, comprenderne la provenienza o il loro significato originale non è colpa della globalizzazione, è un comportamento superficiale di per sé.
Quale di questi è un comportamento appropriativo?
A) Rihanna ritratta sulla copertina di Harper’s Bazaar China in abiti e costumi tradizionali cinesi
B) Un influencer che indossa il “Kostoweh”, copricapo nativo americano, al Coachella
Quindi, come devo comportarmi?
Tornando dunque al punto in cui si apostrofa il fenomeno come un esempio di razzismo antirazzista, è chiaro che, nei termini in cui lo si è trattato, il concetto di appropriazione culturale non dovrebbe scatenare nessuna reazione di panico in quanto limitante processi creativi o il diritto di parola.
Sarebbe intanto “sufficiente” aprire un libro di storia e/o cercare su Google informazioni circa il significato di una data cultura, e dunque agire con cognizione di causa riconoscendole il dovuto rispetto e la paternità. Nelle massime espressioni si potrebbe addirittura sfruttare l’appartenenza alla cultura di maggioranza per dare visibilità alle altre senza doversene appropriare.
Insomma, basterebbe davvero poco eppure sembra uno sforzo impossibile da compiere.
Vero è che, nella maggior parte dei casi, chi prima di fare un passo indietro per comprendere una data esigenza, erge un muro preannunciando catastrofici risultati…quasi mai ha capito ciò di cui si parla.
Però guai a mettere l’ananas sulla pizza!
Il concetto di appropriazione culturale è ancora oggi particolarmente discusso e controverso. Spesso, infatti, si incontrano aree grigie difficili da decifrare. Proviamo ad analizzare alcuni esempi.
Nel caso di Kim Kardashian l’elemento problematico sta nel fatto che una persona appartenente alla cultura dominante abbia reso “fashion” una acconciatura afro a fronte di anni di soprusi subiti dalle donne nere per via della texture dei propri capelli ritenuta “dozzinale, non professionale, da ghetto”. Queste ultime, per secoli, negli USA hanno dovuto ricorrere a parrucche o ad acconciature occidentali per poter essere prese sul serio in ambito professionale, mentre Kim Kardashian ha il potere di dettare quale sia l’acconciatura più cool del momento fino a nuovo ordine. L’usurpazione della ereditiera statunitense raggiunge poi l’apice nel momento in cui ella rivendica una sorta di diritto di ingegno sulle trecce chiamandole “Bo Derek Braids”. Così facendo l’acconciatura viene defraudata del suo significato storico e della sua stessa identità. Le “Kardashian’s Braids” sostituiscono il nome “Fulani” ossia quello della tribù africana in cui tale acconciatura nasce. Non solo, con questo termine sparisce anche l’uso strategico che le donne schiave hanno fatto di questa acconciatura durante il colonialismo: oltre che per praticità infatti, le trecce servivano ad inviare messaggi in codice, il loro numero, ad esempio, poteva indicare quante strade si dovevano percorrere per sfuggire dalle piantagioni.
Nel secondo caso la questione del copricapo “Kostoweh” si basa sostanzialmente sugli stessi principi di cui sopra. Ma qual è la differenza rispetto alla foto della cantante Rihanna in abito tradizionale cinese? In quest’ultimo caso il team di Harper’s Bazaar China ha fatto una consapevole scelta artistica nel voler mostrare cosa succede “quando l’icona dello stile occidentale incontra l’estetica orientale”. Non solo, il team artistico che ha lavorato sullo shooting, tra cui il fotografo Chen Man, era in gran parte composto da cinesi inevitabilmente consci delle tradizioni estetiche e culturali del proprio paese.
FONTI
- “Appropriazione culturale: quando ammirazione diventa appropriazione?”, Stefanie Sonan, Bossy
- “Di cosa parliamo quando parliamo di appropriazione culturale?”, Sonia Garcia, Vice
- “Louis Vuitton e l’appropriazione culturale Basotho”, Grazia per Afro Italian Souls
- “Respect Our Roots: A Brief History Of Our Braids”, Rachel Williams and Hope Wright