Storicamente parlando, i vaccini hanno segnato una svolta fondamentale nella cura preventiva di larga scala. L’idea di sviluppare la memoria immunitaria di cui il nostro organismo gode è venuta in mente per la prima volta al britannico Edward Jenner nel 1796: il suo lavoro è stato il primo concreto tentativo di combattere una malattia infettiva e la sua scoperta fu così importante che nel 1840, in Inghilterra, il suo trattamento divenne obbligatorio per tutt*. La malattia contro cui lottava era il vaiolo, che venne ufficialmente debellato nel 1980.
Nel corso degli anni a seguire, divers* scienziat* si concentrarono sullo sviluppo di trattamenti che riducessero la contagiosità e la propagazione di malattie virali: da ricordare le lotte contro morbillo, sifilide e tubercolosi nella seconda metà dell’800, ma anche la battaglia contro la poliomielite nella seconda metà del ‘900. Quest’ultima, in particolare, coincise con la prima campagna di vaccinazione globale (1967).
Fin dall’epoca di Jenner, sia i vaccini che la pratica della vaccinazione sono stati fonte di discussione tra oppositor* e sostenitor* (con le più grandi diversità di pensiero provenienti sia dal campo ideologico che dal campo religioso). Verso la fine del 1800 gli anti-vaccinist* britannic* riuscirono ad eliminare l’obbligo precedentemente introdotto. È tuttavia innegabile che la copertura vaccinale contro le malattie infettive e altamente contagiose è in grado di ridurre la diffusione dell’agente patogeno incriminato, garantendo conseguentemente una notevole protezione dalla malattia.
Tutto questo, ovviamente, se il farmaco messo in circolazione risulta essere efficace. Per esserlo, c’è innanzitutto bisogno di tempo: sia per studiare la malattia, sia per ottenere un medicinale che sappia effettivamente contrastarla.
Donald Trump, con le sue recenti dichiarazioni, ha fatto storcere il naso a molt*: sicuri che per fine politico sia una buona mossa commercializzare un farmaco non ancora pronto per essere testato?
Nella seconda metà di agosto, Donald Trump ha destato preoccupazione tra la comunità scientifica. Molt* esponenti della sanità statunitense ritengono che l’attuale presidente sia intenzionato a velocizzare i tempi di sviluppo (e quindi di pubblicazione) di un vaccino contro la pandemia da COVID-19, in modo tale da aumentare il suo consenso elettorale in vista delle elezioni presidenziali del prossimo 3 novembre.
Tra gli altri, Anthony Fauci (immunologo e direttore del NIAID, National Institute of Allergy and Infectious Diseases) si è così espresso: “La cosa principale che vogliamo evitare è diffondere un vaccino con un’approvazione di emergenza prima di avere conferme sulla sua efficacia”.
Negli Stati Uniti, l’autorizzazione di emergenza (EUA, Emergency Use Authorization) consente l’approvazione straordinaria di un farmaco anche, e soprattutto, nel caso in cui il farmaco stesso non abbia terminato la propria fase di sperimentazione ordinaria: tutto questo nel caso in cui i danni provocati da una certa malattia infettiva “superino i rischi potenziali del nuovo prodotto”, ha aggiunto Fauci.
Ma qual è il procedimento per commercializzare un vaccino effettivamente efficace? Lo sviluppo parte dalla conoscenza del microorganismo che causa la malattia e delle sue interazioni con l’organismo umano. Dopo una fase pre-clinica (in cui sono inclusi studi in vitro e studi su modelli animali, utili per definire meccanismo d’azione e profilo tossicologico), il vaccino entra in stadio di sperimentazione clinica, tipicamente divisa in quattro fasi.
Nelle prime tre, la popolazione trattata viene lentamente aumentata: facendo ciò, è possibile valutare l’immunogenicità (capacità di stimolare nell’organismo una risposta immunitaria adatta contro le componenti del vaccino) e la reattogenicità (frequenza e tipo di eventuali reazioni non programmate) del vaccino. Viene inoltre valutata la possibilità di somministrare il vaccino in via di sviluppo insieme ad altri vaccini già in commercio.
Gli studi di fase quarta vengono effettuati una volta reso il vaccino pubblico: gli obiettivi di questa fase sono di valutare l’efficacia e la sicurezza del prodotto finale e di comprendere appieno il rapporto costo-beneficio rispetto alla malattia e/o ad altri vaccini. In ogni momento dell’intero processo, lo sviluppo e la successiva commercializzazione possono essere interrotti nel caso in cui una singola di queste condizioni venga a mancare.
Tutti gli studi condotti nel corso dello sviluppo di un qualsiasi medicinale devono essere conformi con gli standard internazionali di etica e qualità scientifica, codificati a livello globale nel GCP (Good Clinical Practice). Sono questi, in conclusione, i motivi per cui c’è aria di preoccupazione: approvando un EUA, il governo statunitense darebbe il via libera a saltare alcuni passaggi fondamentali dello sviluppo farmaceutico del vaccino.
In questo scenario, ci sarebbe almeno una risposta positiva da parte de* cittadin*? Gli/le esperti temono di no: si ipotizza, infatti, che molte persone sceglierebbero volontariamente di non vaccinarsi in quanto insicure sull’efficacia del farmaco. Nel caso peggiore, invece, la popolazione sarebbe ancor più soggetta al contagio nel caso in cui si senta protetta e decida di non adottare più le misure di prevenzione fin qui utilizzate.
Fonti
https://www.ilpost.it/2020/08/30/trump-vaccino-elezioni/
https://www.repubblica.it/esteri/2020/09/02/news/usa_vaccino_trump-266102783/
https://www.ilpost.it/2020/04/23/vaccini-coronavirus-covid-19/