Della morte di Elisa se ne è parlato raramente. I media principali hanno lasciato decadere l’attenzione sulla notizia poco dopo il suo ritrovamento.
E’ la 64esima donna uccisa per mano di un uomo nel 2019.
Massimo Sebastiani, che in questa vicenda è sempre stato descritto come un amico, ora imputato per il suo omicidio. Il 4 agosto scorso, è stato sentito dalla procura di Piacenza, che ha accettato la richiesta di utilizzare il rito abbreviato con perizia psichiatrica, che se avrà esito positivo lo renderà non più punibile.
Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, le persone vicine ad Elisa hanno definito Massimo letteralmente ossessionato dalla ragazza fin dal primo incontro. Ed è proprio questo il movente del reato.
Elisa, 28 anni, donna e lesbica è stata punita proprio perché ha rifiutato le avances promosse dal Sebastiani.
La famiglia ha potuto celebrare il funerale il 24 agosto 2020, poiché le spoglie sono state restituite solo dopo un anno intero a causa di problemi riguardanti l’autopsia e legati anche all’emergenza sanitaria.
Il 25 agosto 2019 si perdono le tracce della giovane donna, dopo un pranzo insieme a Massimo Sebastiani. Ci vorranno circa 15 giorni prima di ottenere una confessione che portasse gli investigatori a ritrovare il corpo sepolto dal reo confesso, che ha fin da subito cercato di depistarli. Le ricerche hanno coinvolto protezione civile, vigili del fuoco, carabinieri, volontari e sommozzatori che hanno scandagliato nei minimi dettagli la zona.
Inizialmente le indagini vertono sull’ipotesi di sequestro di persona, successivamente la Procura scoperto la vera ragione, ovvero l’ennesimo rifiuto di Elisa ai continui approcci indesiderati, conferma il reato di omicidio e occultamento di cadavere.
Parlava di lei come di una fidanzata, ma fin da subito era stata chiara sul loro rapporto. Questo non è bastato. Retaggio patriarcale, per il quale non è concepibile un rifiuto.
Per il caso di Elisa, il giudice, ha ritenuto che non si trattasse di femminicidio, proprio perché non legata al suo assassino da una relazione sentimentale.
Tale neologismo fa infatti riferimento a qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne, in nome di una cultura patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino all’uccisione. La decisione è stata fortemente contestata in quanto il femminicidio non è l’omicidio della moglie o della compagna in quanto tali, ma l’omicidio di una donna in quanto donna.
Essendo stata esclusa l’ipotesi di femminicidio, per la quale il giudizio abbreviato è solitamente escluso, ed essendo stata accettato da entrambe le parti in giudizio, potrà essere applicato e comporterà la riduzione della pena di 1/3.
Non sono state ritenute fondate le aggravanti promosse dai legali della famiglia Pomarelli, che avrebbero lasciato indenne l’iter processuale ordinario con dibattimento. Di conseguenza l’ipotesi dell’ergastolo è totalmente esclusa.
Gli avvocati della famiglia Pomarelli hanno fatto richiesta del riconoscimento di più aggravanti al P.M, ovvero quelle circostanze che determinano una modificazione della pena generandone un aggravamento.
Ad esempio quella dettata da futili motivi, dalla crudeltà(Art. 61, n°1- 4, C.p), e della premeditazione (Art. 577, C.p).Tra quelle proposte ne è stata riconosciuta una sola, la cosìdetta Minorata difesa: si configura quando il reo ha commesso il reato approfittando di una situazione di debolezza della persona offesa, connessa al tempo, al luogo o alla condizione della vittima stessa, che non le hanno consentito una adeguata difesa (Art. 61 n°5, C.p).
Ulteriore danno all’omicidio di Elisa è l’assenza di una legge che condanni nello specifico reati di indole omofoba.
In questo caso specifico è impossibile non affermare che siamo di fronte ad un crimine lesbofobo e misogino.
Vi è necessità e urgenza di approvare il testo di legge Zan, per non perpetrare il messaggio che uccidere o provocare lesioni verso una persona appartenente alla comunità lgbt+ sia meno grave. E’ quindi necessario apportare cambiamenti radicali, grazie alle modifiche che il testo formula, nella cultura e nella società su tali tematiche.
La cronaca ha spesso una tendenza a travisare l’identità delle lesbiche vittime di crimini d’odio, rendendola un dettaglio irrilevante. Nella storia di Elisa (come in molte altre) in principio, non è mai stato fatto un esplicito riferimento alla sua omosessualità, di conseguenza non è stata spiegata la realtà dei fatti dietro al rifiuto nei confronti di Massimo, un uomo.Ciò sottolinea quanto ancora le donne lesbiche siano invisibili agli occhi dell’opinione pubblica in tragedie simili, che sono espressione di una violenza sistematica che le colpisce quotidianamente, proprio perchè donne e omosessuali.
Al fine di ottenere una giustizia reale, si è costituita come parte civile nel processo, oltre alla famiglia, l’associazione Città delle Donne, centro anti violenza del capoluogo in cui si è consumato il delitto.
Più di 60 associazioni che si occupano di diritti lgbt+ e altri movimenti femministi, stanno sostenendo la causa dandogli visibilità attraverso petizioni e costituendo un documento di denuncia.