TW: tortura, violenza
La cultura dei diritti umani si è fatta sempre più spazio nel nostro mondo, sancita dalla Dichiarazione dei Diritti Umani, firmata il 10 Dicembre 1948 a Parigi.
Ad oggi, parlare di tortura fa pensare a Stati poco democratici, a dittature, a violazioni dei diritti umani e ad una inciviltà di fondo.
Molti sono però i paesi che ad oggi, pur non parlando esplicitamente di “tortura”, ne fanno uso. I casi che più sovvengono alla mente sono quelli relativi al G8 di Genova, che venne definita dal pm Zucca come
“la più grande violazione dei diritti umani in un paese democratico dal dopoguerra”
Questa costò all’Italia una condanna per atti di tortura da parte della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, fino ai più recenti Giulio Regeni e Patrick Zacki, il primo martoriato dal regime egiziano, e il secondo attualmente detenuto.
Anche gli Stati Uniti, continuano a farne largo uso a Guantanamo, e spesso nei Centri di accoglienza, così come in Libia, vengono quotidianamente torturate persone, in un silenzio assordante che sostituisce alle parole “tortura” e “lager libici” quelle di “respingimenti” e “aiutiamoli a casa loro”.
Il memorandum d’intesa Italia-Libia continua ad essere automaticamente prorogato nonostante le innumerevoli violazioni dei diritti umani documentate, con continui finanziamenti alla Guardia Costiera Libica e inviti al Viminale di un noto trafficante di esseri umani.
Ciò che oggi differisce dai secoli scorsi è la visibilità.
Se prima le torture erano praticate a cielo aperto, come monito per i cittadini, con il tempo sono state sempre più nascoste, spesso in luoghi isolati e lontani.
La tortura oggi esiste, ma è pensata per non lasciare tracce visibili.
Non si parla di braccia rotte o di ferite, ma di elettroshock, di pressioni psicologiche, stupri, violenze sessuali, deprivazione di sonno, stress position, stanze minuscole in cui sopravvivere, waterboarding e tutta una serie di tecniche create ad hoc per non lasciare segni che possano ricondurre all’idea della tortura.
IL TRIANGOLO DELLA VIOLENZA
Parlare di violenza significa parlare di violazione. I ruoli che si creano durante un’azione violenta sono tre: chi agisce, chi subisce, e l* spettatore/trice.
Nei contesti di violenza la vittima non ha titolarità (da sola) per definire ciò che ha vissuto come un atto violento.
Sono *l* spettator* a scandire il senso di ciò che sta accadendo.
Un esempio può essere l’opinione pubblica che definisce se una ragazza è stata stuprata “perché se l’è cercata” o se “è stato ucciso ma era pur sempre drogato”.
La vittima, da sola, non può definirsi tale. È necessario che *l* spettator* dia un significato al contesto. Ecco perché quando si parla di violenza, in tutte le sue forme, dobbiamo sentirci tutt* coinvolt*
La tortura ad oggi è assimilabile ad una pratica medica.
Sono infatti figure come ingegner*, psicolog* e medic* che studiano e creano torture sempre più sofisticate. Il sapere tecnico sa come poter far del male a un essere umano.
Si lavora per torturare i sensi, amplificando le sensazioni (ad esempio facendo stare la persona in posizioni scomode per molte ore, impedendo di dormire o utilizzando suoni e flash che agiscono a livello uditivo e visivo).
I torturatori non sono persone sadiche, ma sono lavoratori che obbediscono a ordini, e che sono stati addestrati e desensibilizzati ad un certo tipo di lavoro.
Il significato delle loro azioni è legittimato da figure più potenti che danno ordini, ma anche dall’opinione pubblica che legittima alcune azioni in nome di un risultato (reale o meno che sia)
Nel 2005, solo il 14% dei cittadini degli USA riteneva corretto utilizzare tecniche di tortura come metodo coercitivo per interrogare persone sospettate per terrorismo.
Dopo l’11 settembre, la percentuale è schizzata al 52%.
Quando si è di fronte a episodi di tortura, o ne si viene a conoscenza, immediatamente si cerca di allontanare quella realtà dal nostro quotidiano. Per non nominare la tortura, si utilizzano diverse tecniche ed espressioni che nascondono la violenza insita nell’azione della tortura.
Si parla di “diniego”, che può essere articolato in diniego
- Letterale? “non c’è stata alcuna tortura”
- Interpretativo? “non c’è stata tortura, solo un intenso interrogatorio”
- Implicito? “e allora? Cosa ci posso fare se a Guantanamo torturano le persone?”
L’Italia ha adottato una legge contro il reato di tortura in seguito alle sollecitazioni europee e la condanna per tortura avvenuta per i fatti compiuti alla scuola Diaz durante il G8 di Genova.
È stata approvata il 17 maggio 2017 e riporta che:
“Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.
Vi è inoltre un’ aggravante se il reato è commesso da un pubblico ufficiale
Ci sono però delle critiche
La legge è stata dichiarata “non soddisfacente” e “sbagliata”.
Amnesty ha denunciato come la definizione sia confusa, e diventi difficilmente applicabile, soprattutto in merito al “verificabile” trauma psichico.
Inoltre, per come è stato enunciato, questo tipo di reato non sarebbe facilmente applicabile a diverse situazioni, come quella del G8 di Genova.
Viene criticato l’ampio margine di discrezionalità e il fatto che spesso i processi per tortura avvengono anche a distanza di 10 anni, rendendo estremamente difficile verificare un trauma avvenuto un decennio prima.
Altra problematica riguarda il fatto che dovendo “verificare” il trauma, si costringe la vittima a dimostrare di star male secondo un certo tipo di copione richiesto a cui si deve necessariamente aderire.
Non sono ammessi quindi casi di sofferenza diverse da quelle verificabili.
Non vengono inoltre rispettati i tempi di elaborazione della vittima, né la loro difficoltà a chiedere aiuto e riconoscimento.
Gli Stati e i suoi rappresentanti applicano quello che è un lavorìo semantico, ovvero una modifica nell’uso dei termini che permette ad alcune pratiche di essere ritenute accettabili anche nel 2020.
Cambiando i termini, si cambia la componente semantica, e di conseguenza l’assetto di pensiero.
Lo status di vittima quindi, non esiste più.
FONTI
Art. 613bis codice penale (consultabile su Brocardi.it)
Violenza e Democrazia, Psicologia della coercizione: torture, abusi, ingiustizie – A. Zamperini e M. Menegatto
Amnesty International – Introduzione al reato di tortura in Italia
Il Post – L’Italia ha una legge contro il reato di tortura
La Repubblica – G8 Genova, Strasburgo condanna l’Italia: a Bolzaneto fu tortura
Il Manifesto – Lo stato ordinario della tortura e della violenza
Internazionale – L’Italia rinnoverà gli accordi con la Libia con alcune modifiche