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Le professioni al femminile

Vi proponiamo un indovinello:

Padre e figlio fanno un incidente in auto. Il padre muore, il figlio viene portato d’urgenza in ospedale in gravissime condizioni. Il chirurgo quando lo vede, però, esclama: «non posso operarlo. È mio figlio!»

Non abbiamo problemi a declinare al femminile parole come operaio, infermiere o cuoco. Nessun problema a parlare di maestra, commessa o segretaria. Questo perché le professioni citate sono lavori umili, subordinati e/o di cura. 

Se saliamo in alto nelle cariche, troviamo avvocato, ministro, giudice, magistrato e assessore ad esempio, il cui femminile sembra essere più ostico.

Le parole che terminano in -o dovrebbero avere il femminile che termina in -a, mentre quelle che terminano in -e dovrebbero vedere il cambiamento solo nell’articolo (il/la presidente, che deriva da un participio presente). 

Allo stesso modo, i termini in -aio/-ario mutano in -aia/-aria (giornalaio/giornalaia).

Usare il suffisso -essa, tende a dare un’accezione dispregiativa (ad es. medichessa, s.f. scherz. o spreg.).

Questo perché il suffisso -essa ha una connotazione riduttiva, che si ripercuote anche nella riduzione del ruolo femminile.

Spesso inoltre, parlare di “presidentessa” era riferito alla moglie del presidente. Così come parlare di “generalessa” indicava la moglie del generale.

Questo perché le donne sono sempre lette rispetto alle loro relazioni con uomini.

Inoltre, avete mai notato che il femminile di RE è REGINA e di EROE è EROINA? Il suffisso -ina è un diminutivo, e questo passa anche attraverso le letture per *i* più piccol*

Proviamo a pensare al femminile di queste professioni:

  • nuotatore (nuotatrice)
  • attore (attrice)
  • calciatore (calciatrice)
  • pittore (pittrice).

Le parole che terminano in -tore hanno generalmente il femminile in -trice.

Ma qual è il femminile di dottore? Già. Dottoressa. Viene ormai comunemente aggiunto il suffisso -essa, che però è dispregiativo.

Inoltre, il femminile corretto di medic-o sarebbe medic-a.

Da un punto di vista linguistico i femminili sono forme previste dalla lingua italiana; questi non erano in uso per un motivo molto semplice: non esistevano ruoli che ne giustificassero l’esistenza.

La loro introduzione nell’uso non è frutto di un complotto o della decadenza della lingua italiana, ma conseguenza della comparsa di sindache, ministre, assessore, avvocate nei luoghi istituzionali.

Dopotutto, per fare un esempio, fino al 1963 l’accesso alla Magistratura era vietato alle donne, quindi non aveva senso parlare di magistrata.

Come promuovere un linguaggio inclusivo? Tutta la questione ruota intorno al maschile/femminile, ma sappiamo che dobbiamo riuscire ad uscire da quello che è il binarismo di genere. Per provare ad includere anche coloro che non si identificano in uno di questi due generi, negli ultimi anni si è promosso l’utilizzo dei simboli “*”, “_”, “@” e “u”. 

Le raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana prevedono che 

  • Si eviti l’articolo davanti al cognome di donne (Raggi e non “la Raggi”)
  • Si deve accordare il genere in base a quello della maggioranza (ad es. Silvia, Roberta, Francesca e Marco sono simpatiche, oppure in caso di parità, in base all’ultimo nome, ad es Marco, Silvia, Roberta e Giovanni sono simpatici)
  • Evitare di declinare professioni al femminile come “medico donna”, o utilizzare il suffisso -essa, ma prediligere il corrispettivo femminile

Ecco la soluzione dell’indovinello:

Il chirurgo è la madre del ragazzo.

Non tutt*, e non sempre, riescono a rappresentare una donna come chirurgo. Ecco perché la rappresentanza di genere è importante, fin da bambin*. Perché dire “chirurgo” fa pensare ad un uomo; perché usare il maschile rende invisibile tutte le sfumature

Declinare al femminile i sostantivi, e più precisamente il declinare le professioni al femminile, ha portato a dibattiti e contrasti sempre più accesi, fino ad arrivare a palesi discordanze terminologiche su testate nazionali, che spesso riportano espressioni come “ministrO incintA” e/o “lA ministrO”.

Ciò che viene più criticato è il suono sgradevole di parole come ministra e avvocata.

In realtà, se la questione fosse puramente linguistica, non ci dovrebbero essere troppi problemi nel rendere una lingua inclusiva.

La questione è controversa perché ad essere messa in discussione non è la lettera finale della parola, ma il potere che ne sta dietro. 

Da bambin* ci insegnano che esistono le parole maschili (che finiscono in -o, ad esempio), e quelle femminili (che terminano in -a ad esempio).

Ci viene spiegato che il femminile si forma a partire dal maschile. Il maschile invece non si forma. Il maschile esiste.

Dopotutto, si parla di maschile universale. E qui sta il nòcciolo della diatriba.

Diamo spesso per scontato che il genere maschile sia neutro. Pensiamo che dire “tutti”, possa rappresentare anche chi maschio non è, e che si possa dire “avvocato donna”, come se gli avvocati fossero tutti uomini, e l’eccezione fosse da rimarcare, aggiungendo quel “donna” finale.

La lingua italiana non è neutra.

Il maschile predefinito porta con sé uno stereotipo di linguaggio che lo vede essere la norma. Il femminile è quindi qualcosa di altro, che si discosta dalla norma.

Per superare inoltre il binarismo di genere, sono stati introdotti espedienti come *, @, _ o la “u” finali, che possono essere usati in sostituzione dell’ultima lettera della parola da declinare per indicare il maschile, il femminile e, in base all’intenzione di chi scrive, includere le forme che non rientrano in nessuna delle due. 

Per riprodurre questi simboli con la voce, si può recidere l’ultima lettera in modo da lasciare spazio ad eventuali interpretazioni sul genere (tutt-) oppure ad utilizzare la lettera “u” (tutt-u). 

Probabilmente può sembrare faticoso, ma è importante che il nostro linguaggio riesca a riprodurre tutte le sfumature che la nostra realtà ha, riuscendo ad includere e veder rappresentati tutt*

FONTI

Estratto da Istruzioni per un linguaggio non sessista della lingua italiana http://www.associazionerising.eu/raccomandazioningua-italiana/

Infermiera si, ingegnera no? – Cecilia Robustelli (Accademia della Crusca): https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/infermiera-si-ingegnera-no/7368 

Invisibili – Caroline Criado Perez

Istruzioni per un linguaggio non sessista della lingua italiana – Alma Sabatini

Lingua e genere, come si declinano le professioni al femminile – Vera Gheno: https://semplicecome.it/tendenze-lingua-genere-professioni-femminile/

maschile e femminile nei nomi di professione [prontuario] – Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/maschile-e-femminile-nei-nomi-di-professione-prontuario_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/ 

Perché il femminile di “medico” suona tanto male? – Il Post: https://www.ilpost.it/ludovicalugli/2019/11/05/perche-il-femminile-di-medico-suona-tanto-male/

Perché uso l’asterisco? – https://francescafadda.com/2014/06/21/perche-uso-lasterisco/#:~:text=L’asterisco%20%C3%A8%20un%20espediente,rientrano%20in%20nessuna%20delle%20due.

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