Assistiamo quotidianamente ad episodi di violenza maschile esercitata nei confronti delle donne.
Dagli anni ’70 ad oggi, gli interventi di prevenzione e supporto sono stati indirizzati quasi esclusivamente alle stesse vittime con il rischio di sostenere l’idea che il problema della violenza maschile sulle donne sia un problema delle donne.
Il modello di intervento attuale, faticosa conquista rispetto allo scenario sociale del passato, viene sostenuto per la sua validità e legittimità ma presenta dei limiti escludendo il soggetto che agisce la violenza. In questo scenario, come previsto dall’attuale normativa (articolo 16 della Convenzione di Istanbul) sono stati istituiti e diffusi programmi di trattamento rivolti agli autori di violenza di genere (Pdt) riconoscendo nella presa in carico del soggetto maltrattante la misura fondamentale di contrasto e prevenzione della violenza. Tali programmi hanno l’obiettivo prioritario di garantire la sicurezza, il supporto e i diritti delle donne vittime di violenza con interventi che mirino a modificare attitudini e comportamenti violenti. Il principio su cui si poggiano è che la violenza di genere sia connessa a norme e credenze culturalmente costruite e che, come tali, possano essere disapprese verso una piena assunzione di responsabilità e consapevolezza da parte degli autori delle violenze.
In questa direzione, il successo del programma non è legato alla sola interruzione del comportamento violento e l’obiettivo non è quello di “curare” ma rieducare gli uomini a valori e sistemi di credenze non sessisti e non discriminatori.
Sebbene i programmi di trattamento rivolti agli autori di violenza siano in aumento e di grande efficacia si evidenzia una distribuzione territoriale non ancora eterogenea un basso numero di prese in carico, difficoltà a collaborare con i centri antiviolenza e uno scarso livello di standardizzazione delle procedure. Molte di queste criticità sono legate all’assenza di fondi ritenuti spendibili prioritariamente nei centri antiviolenza e non “a favore” dei soggetti maltrattanti.
I Pdt strada da percorrere per contrastare la violenza di genere o investimento inefficace?
Il problema della violenza di genere è un problema che ci tocca quotidianamente. Gli interventi di prevenzione e supporto a riguardo sono stati, dagli anni ’70 ad oggi, indirizzati quasi esclusivamente alle stesse vittime con il rischio di sostenere l’idea che il problema della violenza sulle donne sia un problema delle donne.
Negli ultimi anni sono stati istituiti e diffusi programmi di trattamento rivolti agli autori di violenza di genere (Pdt) riconoscendo nella presa in carico del soggetto maltrattante la misura fondamentale di contrasto e prevenzione della violenza.
Nel 2019 sono 85 i punti di trattamento tra pubblici e privati quando nel report ISTAT del 2017 ne emergevano 76.
Quali sono i programmi di trattamento?
Non sono tutti uguali ma si differenziano per livello di autonomia gestionale e di specializzazione sul tema.
-50 PdT sono gestiti come veri e propri centri, realtà create da associazioni private o enti pubbliche. Le organizzazioni gestiscono autonomamente le attività tramite personale qualificato dall’inizio alla fine del percorso. In molti casi svolgono attività di divulgazione e sensibilizzazione essendo specializzati nel tema e grazie alla loro esperienza sono un punto di riferimento nel dibattito politico
-19 sono sportelli e punti di ascolto gestiti generalmente da realtà del terzo settore in spazi pubblici dati in concessione da enti locali, come i Comuni.
-16 PdT sono gestiti come sportelli nati da progetti al contrasto alla violenza di genere. Hanno le stesse caratteristiche dei punti di ascolto ma nascono all’interno di progetti più vasti di promozione di una cultura nonviolenta nelle relazioni, finanziato da Ministeri, dal Fondo Sociale Europeo e altri enti pubblici e caratterizzati da attività divulgative, anche a fini di prevenzione.
Come si accede?
L’accesso da parte dell’utenza può avvenire spontaneamente, su suggerimento di persone vicine o su invito dei servizi sociali o dalla magistratura.
Qual e l’obiettivo dei programmi?
-Proteggere e tutelare le donne vittime di violenza
-Migliorare le condotte da parte di chi ci partecipa, con l’obiettivo di renderle durature nel tempo rieducando gli uomini a valori e sistemi di credenze non sessisti e non discriminatori.
Punti di forza
-Presa in carico di tutti i soggetti coinvolti nella dinamica violenta verso una maggiore efficacia dell’intervento
-Possibilità di diminuire le recidive
-Evitare il rischio della vittimizzazione secondaria
Criticità
-Assenza di una standardizzazione dei programmi
-Distribuzione territoriale non eterogenea
-Scarsa collaborazione con i centri antiviolenza verso un lavoro integrato
-Utilizzo dei i programmi come modo per sfuggire alle maglie della giustizia da aperte degli autori della violenza
Fonti:
https://www.istat.it/it/files//2018/04/IRPPS-CNR-Programmi-autori-violenza.2017.pdf
N.B. Il presente post è stato scritto da Paola Fiorillo. L’autrice non collabora più con Eduxo e non ha più il suo profilo. Risulta per questo motivo nella pagina della Presidente.