La globalizzazione genera dibattiti infuocati.
Talvolta è presentata come uno strumento di modernizzazione, in altri casi come un pericolo; secondo alcuni contribuisce alla ricchezza delle nazioni, per altri implica l’impoverimento delle masse a beneficio di un’élite di privilegiati.
È accusata di aver causato la deregolamentazione finanziaria, l’esplosione delle disuguaglianze, le delocalizzazioni, la scomparsa delle frontiere e l’inaridimento della vita culturale…etc.
Bisogna però fare chiarezza sull’argomento, attirando l’attenzione su uno dei problemi più scottanti: le disuguaglianze.
L’esplosione delle disuguaglianze è una conseguenza della globalizzazione economica.
L’economista Piketty (1971) ritiene che sia più urgente che mai oggi rimettere la questione delle disuguaglianze al centro dell’analisi economica.
Per troppo tempo il problema della distribuzione delle ricchezze e della disuguaglianza sociale è stato trascurato.
Secondo l’economista e filosofo indiano Sen, la preoccupazione principale che suscita la globalizzazione è il livello della disuguaglianza e spinge per attuare una più equa distribuzione dei beni a livello globale.
Una giustizia universalmente condivisa
Ci si interroga quindi sulla complessità filosofica di formulare un’idea di giustizia universalmente condivisa ma anche sulla necessità di affrontare le troppe ingiustizie che sono di fronte ai nostri occhi, a partire da quelle più gravi, che offendono la dignità umana e toccano a fondo la nostra coscienza.
La globalizzazione
Ma cos’è la globalizzazione? In generale, possiamo definire la globalizzazione come uno stato di connettività complessa della società che ha degli effetti sociali molto profondi: l’impressione è che la collettività in cui viviamo stia cambiando di scala, non più la nazione ma il mondo intero.
In particolare, la globalizzazione concerne il mondo dell’economia: si è verificata infatti una tale integrazione che nessuna parte del sistema economico mondiale può essere considerata come un fenomeno a sé stante.
La disuguagliaza
Il termine disuguaglianza identifica le differenze dei livelli di benessere derivanti principalmente dalle disparità in diverse aree, tra cui
- il livello dei redditi, dei consumi
- l’accesso all’assistenza sanitaria
- l’accesso all’istruzione
- la speranza di vita
Nel dibattito pubblico si tende a dare per scontato che la disuguaglianza sia solo un problema di tipo economico; questa visione rischia però di mettere in secondo piano la complessità del fenomeno: esistono infatti svariate forme di disuguaglianza (sociale, economica, politica, digitale).
La più evidente e quella più facilmente calcolabile è la disuguaglianza economica che può basarsi sulle disparità di reddito degli individui.
“I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri diventano sempre più poveri”
Questa è una frase che tutti noi abbiamo spesso sentito. C’è da dire che esiste una povertà assoluta, che caratterizza chi non ha nessuna possibilità di procurarsi i mezzi di sussistenza di base, e una povertà relativa, che riguarda altre fasce di popolazione, che pur avendo i mezzi di sussistenza, hanno un tenore di vita nettamente più basso rispetto all’ambiente sociale in cui vivono e dal quale rischiano di essere emarginate.
Risulta dunque importante introdurre una regola generale nella valutazione della disuguaglianza mondiale.
Un metodo comodo è quello di stabilire una soglia assoluta di povertà e di contare le persone al di sotto di tale soglia.
Il valore più utilizzato al giorno d’oggi è di 1,25 dollari al giorno pro capite, vale a dire circa 1 euro, a potere d’acquisto internazionale costante.
4 miliardi di poveri (metà dell’umanità)
Secondo la Banca Mondiale, il numero di persone che vivono con meno di 1 euro al giorno è di circa il 25% della popolazione mondiale.
Adottando una definizione di povertà meno estrema, ossia una soglia di 2 euro al giorno (valore talvolta usato anche dagli organismi internazionali), la cifra è ancora più schiacciante: secondo questo metro di giudizio, il pianeta conterebbe 4 miliardi di poveri: metà dell’umanità. La disuguaglianza condanna quasi la metà dell’umanità alla povertà e rende precaria la sopravvivenza stessa.
“Globalizzazione delle disuguaglianze” non è un’affermazione ideologica, è la fotografia della realtà: questo perché c’è stata globalizzazione dei mercati ma non dei diritti sociali a tutela minima degli individui.
La globalizzazione aumenta il gap (divario) tra il nord e il sud del mondo.
Infatti, la struttura portante dell’economia globalizzata sono le multinazionali, imprese che operano in tutti i settori dell’economia mondiale secondo la logica del massimo profitto.
Uno degli aspetti più rilevanti della globalizzazione economica è l’internazionalizzazione dei mercati finanziari e del commercio e delle imprese, ovvero dalla tendenza delle multinazionali ad allentare i rapporti con il Paese di appartenenza per distribuire le proprie attività in diverse aree del mondo, in base alle convenienze.
Ad esempio, con la delocalizzazione industriale le aziende chiudono comparti produttivi nei Paesi in cui sono nate spostando le lavorazioni in Paesi del Sud del mondo o dell’Est europeo, dove la manodopera ha costi inferiori.
Il capitalismo
Quindi si, il capitalismo è la causa delle disuguaglianze: analizziamo insieme i seguenti dati.
L’anno scorso, da soli, 26 ultramiliardari possedevano l’equivalente ricchezza della metà più povera del pianeta.
Una concentrazione di enormi fortune nelle mani di pochi, che evidenzia l’iniquità sociale e l’insostenibilità dell’attuale sistema economico.
Mentre le multinazionali e i “super ricchi” accrescono le loro fortune a dismisura, milioni di ragazzi (soprattutto ragazze) non hanno accesso all’istruzione basica.
Ad esempio, se quell’1% dei più ricchi del mondo pagasse appena lo 0,5% in più in imposte sul proprio patrimonio, si avrebbero le risorse per mandare a scuola 262 milioni di bambini e salvare la vita a 100 milioni di persone nel prossimo decennio (da sottolineare che ogni giorno nel mondo muoiono 10 mila persone perché non hanno accesso alle cure mediche).
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